Le super carriere dei pm sui teoremi Stato-mafia

La figlia di Borsellino: processi più in tv che in aula. "Il Domani": Cairo sarà sentito sulla foto di Baiardo

Le super carriere dei pm sui teoremi Stato-mafia

Passata la sentenza, affiorano i veleni. E colpiscono al cuore la magistratura siciliana. «Un Titanic», lo definisce sul Foglio il giudice milanese Guido Salvini. Dopo l'assoluzione annunciata decisa dalla Cassazione per tutti gli imputati nella presunta Trattativa Stato-Mafia, da Mario Mori a Giuseppe De Donno fino a Marcello Dell'Utri, nell'Isola si scatena la guerra. «Qualcuno ha costruito la sua carriera su questo processo, immeritatamente», dice a caldo Fiammetta Borsellino all'AdnKronos commentando il tramonto definitivo sulla suggestione di un famigerato accordo tra boss e Palazzo legato alle stragi in cui morirono suo padre Paolo e Giovanni Falcone.

Da anni la figlia minore del giudice combatte perché qualcuno faccia luce sui tanti misteri che ancora avvolgono le indagini sulle stragi e se la prende, senza mai citarli, con i magistrati dell'accusa che sono stati ospiti in numerose trasmissioni televisive. «Ho trovato deontologicamente scorretto pubblicizzare mediaticamente un procedimento, con giornalisti complici di queste operazioni - aggiunge Fiammetta Borsellino - prima ancora che finisse l'iter giudiziario, che poi si è dimostrato un fallimento». Su Twitter il vicesegretario di Azione Enrico Costa passa ai raggi X i curriculum dei magistrati bocciati dalla sentenza: «Un Pm ha fondato un partito (Antonio Ingroia, ndr), un altro è stato eletto al Csm (Nino Di Matteo, ndr), così come il Gip (Piergiorgio Morosini, ndr) un altro è andato ai vertici del Dap (Roberto Tartaglia, ndr) e ora collabora con il governo. Un altro fa il senatore (Roberto Scarpinato, ndr)». A fare gli altri nomi ci pensa Maurizio Gasparri di Forza Italia: «Chissà cosa hanno da dire dopo la sentenza ulteriore della Cassazione Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Tartaglia, Scarpinato, Ingroia, Di Matteo ed altri, alcuni dei quali hanno creduto a personaggi come Vincenzo Scarantino. Noi cercheremo la verità che in alcune procure invece veniva sostituita da teoremi privi di fondamento. La storia non finisce. Comincia ora». Non a caso c'è anche chi tra i giornalisti ribalta completamente la narrazione, come fa Sigfrido Ranucci di Report: «Chi dice che la narrazione sulla Trattativa è stata inventata, citando la sentenza della Cassazione, dice una cazz...». Segno che alcune sentenze della Suprema Corte si possono criticare. Altre no, ma tant'è... Ma sul banco degli imputati non c'è più la politica ma la stessa magistratura. Quella che ha indagato oggi e quella di allora. «È arrivato il momento di concentrarsi sul nido di vipere di cui parlava Borsellino», dice all'Adnkronos l'avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice e marito di Lucia Borsellino. Che ricorda il delicatissimo fascicolo «mafia-appalti» forse frettolosamente archiviato il 13 luglio 1992 che fu al centro di un incontrò segreto proprio con Mori e De Donno prima che saltasse in aria, i possibili «recenti depistaggi sul tema del difficile periodo di Borsellino in quella procura retta da Pietro Giammanco». Bisogna ricordare anche che cinque giorni prima della strage di Via D'Amelio, Borsellino partecipò a un incontro alla Procura di Palermo proprio di quel dossier. «In quell'incontro il pm Guido Lo Forte nascose al giudice di avere firmato, appena il giorno prima, l'archiviazione dell'inchiesta». Cosa c'era davvero in quelle carte? La caduta del teorema riporta alla mente anche l'epitaffio pronunciato dalla Cassandra Luca Palamara, che nel suo libro Lobby&Logge aveva stigmatizzato definendolo «un intreccio di teoremi, complotti, depistaggi e veleni che una procura di Palermo fuori controllo stava usando come una clava, che ha travolto una classe politica e bruciato più di un magistrato». Ma chi pensa che la lotta ai fantasmi si fermarsi qui, si sbaglia.

Ieri il Domani ha scosso il mondo dell'informazione scrivendo che l'editore del Corriere della Sera e di La7 Urbano Cairo potrebbe essere sentito dai pm di Firenze che indagano sulla famigerata foto che ritrarrebbe Silvio Berlusconi con il boss Giuseppe Graviano e con il generale dei carabinieri Francesco Delfino. Un'immagine di cui nessuno ammette l'esistenza ma di cui Massimo Giletti avrebbe parlato con il suo editore, sufficiente però per riaccendere i riflettori sulla presunta Trattativa smentita dalla Cassazione.

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