Arriva lei e pure il tempo si mette al bello. Giorgia Meloni si infila nel tendone della Coldiretti, allestito sotto l'imponente torre del Filarete, e viene subito al punto: «Dobbiamo tornare alla difesa dell'interesse nazionale. Dobbiamo partire dall'interesse nazionale per trovare soluzioni comuni».
Le bandiere degli agricoltori sventolano: siamo nell'austera cornice del Castello Sforzesco ma pare di essere a San Siro. La folla grida «Giorgia- Giorgia», i turisti che si aggirano fra i saloni e i cortili carichi di storia scattano foto con i telefonini e qualcuno chiede «Ma chi è?».
Lei sul palco va dritta per la sua strada: «Chi diceva che eravamo sovranisti ora dovrà ricredersi: eravamo lucidi». E un sorriso malizioso come un lampo le attraversa il volto: tutti pensano alla Germania che ha bloccato il price cap, ma ha stanziato 200 miliardi solo per i tedeschi, ma lei non fa nomi. «Sapete che in questi giorni ho diradato le mie presenze per studiare i dossier più urgenti, nel caso venga chiamata a formare il nuovo governo». Brusio sotto il tendone, lei sorride complice, poi riprende: «Ho deciso però di venire qui da voi che rappresentate l'eccellenza italiana e il «Made in Italy».
È la prima uscita ufficiale dopo il voto e il successo che le hanno consegnato le urne. E lei si mostra insieme agli agricoltori, al suo fianco un tavolo con i prodotti della terra. È il sovranismo inteso come patriottismo, orgoglio nazionale e volontà di riprendere in mano il destino di un Paese che era sfuggito da qualche parte.
Ma è tutto fuorché un atto d'accusa all'Europa, semmai è la volontà di raccordare Roma con Bruxelles. «Non siamo negativi con gli altri, - precisa - siamo positivi con noi stessi».
«Se saremo chiamati a governare questa nazione - riprende calcando il se con una nota ironica - è chiaro da subito che abbiamo in mente di dare risposte efficaci e immediate ai principali problemi». Poi spiega la sua filosofia con poche parole: «Il nostro obiettivo è modificare il rapporto fra Stato e cittadini e Stato e imprese. La nostra bussola sarà non disturbare chi vuole fare, non disturbare chi vuole creare ricchezza e chi vuole dare lavoro. Lo Stato deve metterli nelle condizioni di farlo».
E ancora: «Dobbiamo restituire una strategia industriale a questa nazione che da troppo tempo non l'ha avuta». Tossisce e si scusa per la voce. Gli applausi si susseguono e si mischiano con l'entusiasmo che trabocca in sala. «Siamo costantemente in contatto con il governo uscente», rivela e così ancora una volta rassicura chi teme che voglia dare una sterzata violenta e strappare la tela. No, non è così. Innovare ma senza spaventare: questa sembra essere la sua traiettoria. «La priorità - insiste - sarà il costo dell'energia, il tema non è come compensare la speculazione ma come fermarla, non possiamo continuare a dare miliardi agli speculatori».
Insomma, a grandi linee Giorgia, come la acclamano tutti, delinea lo schema di un programma. E confida di volersi aprire alla società: «Voglio coinvolgere i corpi intermedi. Dobbiamo avere l'umiltà di ascoltare quelli che i problemi li vivono in concreto». Si alzano tutti in piedi. Lei ringrazia e annuncia che firmerà la «petizione contro il cibo sintetico».
Poi esce per un breve giro fra gli stand sistemati in quella cornice insolita e sontuosa. Un altro bagno di folla, fra i camminamenti, i fossati e i ponti levatoi della fortezza. «Sono ottimista», è il suo congedo (insieme a dei «bacioni» per Salvini), anche se le nubi all'orizzonte sono nere.
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