Svolta nella Consulta: dovrà ascoltare anche la società civile

La mossa della presidente Cartabia: su temi rilevanti aperture a «esperti di chiara fama»

Svolta nella Consulta: dovrà ascoltare anche la società civile

Porte aperte alla Consulta. Appena tre anni fa, la Corte Costituzionale - chiamata a valutare la legge sulla procreazione assistita - aveva rifiutato di ascoltare voci importanti e autorevoli: come quella di Elena Cattaneo, senatrice a vita e docente universitaria, esperta di cellule staminali. Ed era apparsa a molti come la riprova di una Consulta chiusa in se stessa, convinta di poter decidere, anche su temi scientificamente complessi, sull'unica base delle conoscenze e delle convinzioni dei suoi giudici. Ora, sotto la guida del suo nuovo presidente Marta Cartabia, la Corte volta pagina. E apre le sue porte alla società civile, consentendo che a smuovere i suoi riti un po' ingessati arrivino le voci di chi nel paese reale vive e opera.

Già qualche importante apertura si era colta l'anno scorso sotto la presidenza di Giorgio Lattanzi. Non era un mistero che a premere in questa direzione fosse soprattutto la Cartabia, allora semplice membro della Corte. Ed appena eletta al vertice la giurista cattolica ha confermato la sua convinzione che uno svecchiamento delle procedure sia essenziale per decisioni della Consulta al passo con i tempi. Così nella sua prima seduta del 2020 la Corte ha approvato una modifica del regolamento che segna una svolta profonda nella giustizia costituzionale. Nella grande e austera aula di piazza del Quirinale potranno entrare e prendere la parola non solo gli avvocati delle parti, ma anche istituzioni, associazioni, cittadini. Non sarà, spiegano alla Corte, un accesso indiscriminato, che rischierebbe di intasare le procedure. Chi ha qualcosa di importante da dire, ed è qualificato per dirlo, d'ora in poi sa che potrà chiedere di venire ascoltato.

Sono tre le porte che il provvedimento apre per rendere concreta questa possibilità. La prima è rivolta alle istituzioni pubbliche o private, purché senza fini di lucro, coinvolte nel tema all'esame della Corte. Non diventeranno formalmente parti del processo, ma potranno dire la loro come amici Curiae, la figura che già in altri paesi consente che a dire la loro siano sindacati, associazioni di categoria, ordini professionali. Questa chance dovrebbe riguardare anche le Autorità indipendenti - come l'Anac o l'Antitrust - che finora avevano trovate sbarrate le porte della Consulta. Per loro, le porte ora verranno aperte solo metaforicamente: non potranno partecipare fisicamente alle udienze e prendere la parola, ma solo inviare documenti scritti («brevi», sottolinea la nuova norma).

La seconda possibilità è quella che consente ai giudici costituzionali di convocare e ascoltare in camera di consiglio «esperti di chiara fama» per approfondire i temi sottoposti all'esame della Corte. Non a caso il testo del provvedimento approvato nei giorni scorsi non parla di «audizioni» ma di «confronto»: gli specialisti saranno chiamati a dialogare con i giudici, rispondendo alle loro domande e chiarendo gli aspetti più complessi della materia.

La terza apertura, forse la più consistente, consentirà di intervenire nei giudizi di legittimità costituzionale ai soggetti «titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato a quel giudizio»: criteri rigidi, come si vede, che sembrano escludere, per esempio, semplici associazioni di volontariato, ecologiste e quant'altro. Ma si tratta comunque di una svolta, perché finora i tentativi anche di soggetti direttamente coinvolti nella decisione erano andati a sbattere contro il diniego della Corte.

Uno dei rari interventi a venire ammesso fu quello dell'Unione delle camere penali quando la Consulta doveva pronunciarsi sulla legittimità degli scioperi degli avvocati nei processi con imputati detenuti. L'Unione potè dire la sua: anche se poi la Corte le diede torto.

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