Svolta "soft" con le regioni. E ora protesta la sinistra

Segno distensivo da Cts e ministero sulle zone gialle. La rivolta di Bonaccini: "Misure uguali per tutti"

Svolta "soft" con le regioni. E ora protesta la sinistra

Finirà con il Carnevale l'arlecchinata dell'Italia a colori? Il sistema di classificazione cromatica che regola il differente grado di libertà dei vari territori per qualcuno ha fallito, perché non ha deformato verso il basso la curva dei contagi e oltretutto viene vista dai governatori come una sorta di sgradevole pagella. Naturalmente sono sempre i presidenti dei territori con i colori più scuri quelli che contestano di più la metodologia patchwork.

Stefano Bonaccini, non a caso presidente dell'Emilia-Romagna, una delle regioni retrocesse nello scrutinio di ieri, è stato l'ultimo a esternare: «Quando si richiama il lockdown viene in mente qualcosa che non è percorribile, il lockdown che ci fu lo scorso anno teneva chiuso tutto nel Paese. Io mi interrogo solo se questo tema delle fasce colorate, alla luce delle varianti che stanno cominciando a circolare e a far peggiorare, quasi in tutto il territorio nazionale, i parametri, non abbia qualche pecca», dice Bonaccini, che è anche il presidente della Conferenza delle regioni, intervistato da Skytg24. Per Bonaccini «andrebbe fatta una riflessione perché questo sistema a colori ha avuto un senso in questi mesi, ma credo che oggi dimostri qualche fragilità. Questo perché il rischio è un saliscendi che non dà certezze per il futuro a chi è in difficoltà». In particolare «bar e ristoranti che rischiano di chiudere ogni volta che si cambia colore». Quindi meglio regole certe e uguali per tutti. Una proposta a cui si associa anche il presidente della Toscana Eugenio Giani: «La gradualità delle restrizioni attraverso il sistema dei colori ha funzionato quando ci sono state fasi con forti differenziazioni fra territorio e territorio. Ora c'è una certa omogeneità» e la proposta di è quindi «comprensibile».

Certo, uniformare il colore dell'Italia significa inevitabilmente allineare tutti allo stato di chi sta peggio. E quindi «punire» anche le regioni con numeri accettabili. Del resto un lockdown light ma per tutta Italia è invocato da più parti. Da ultima la fondazione Gimbe giovedì aveva proposto uno stop breve ma secco: «Se il nuovo esecutivo manterrà la strategia di mitigazione - aveva detto il presidente Nico Cartabellotta - con il solo obiettivo di contenere il sovraccarico degli ospedali, bisogna accettare lo sfiancante stop&go degli ultimi mesi almeno per tutto il 2021». Meglio allora «perseguire l'obiettivo europeo zero-covid, sulla scia della strategia tedesca No-covid» e «abbattere la curva dei contagi con un lockdown rigoroso di 2-3 settimane al fine di riprendere il tracciamento, allentare la pressione sul sistema sanitario, accelerare le vaccinazioni e contenere l'emergenza varianti».

Quel che è certo è che la guerra fratricida tra regioni non fa bene a nessuno. Non ci sono né buoni né cattivi. E il presidente della Lomberdia Attilio Fontana, che ieri ha «festeggiato» lo scampato pericolo di finire di nuovo in arancione (un segno distensivo del nuovo esecutivo dopo la nomina di Mariastella Gelmini agli Affari regionali), sta cercando di mobilitare i suoi colleghi in vista del 5 marzo, quando scadrà il Dpcm ultimo dono del governo Conte, già oggi andrà in scena una riunione per un fronte comune che non metta gli uni contro gli altri.

Resta però l'impressione che un grado accettabile di libertà si sposi soltanto con il rispetto delle regole da parte di tutti i cittadini, un rispetto che negli ultimi mesi è venuto a mancare per confusione, per stanchezza, ma soprattutto per mancanza di controlli.

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