Le navi che chiedono aiuto nella zona di mare di fronte alla Libia, e quindi fuori dall'area di ricerca e soccorso italiana, dovranno rivolgersi e coordinarsi col Centro di Tripoli e coi guardacoste libici che sono le autorità competenti. Questo, in sintesi, il testo dell'informativa urgente inviata ieri mattina dalla Guardia costiera italiana ai comandanti delle imbarcazioni che incrociano in quell'area, che notoriamente è quella più battuta da gommoni e barconi di migranti che si mettono in viaggio verso il nostro paese, nonché dalle Ong che li soccorrono. Tradotto in quattro parole: non ci chiamate più.
È la svolta dettata dall'Italia, che si richiama alla convenzione Solas - quella firmata nel 1914 da 162 nazioni dopo il disastro del Titanic - e che cerca di superare la Convenzione di Amburgo (1979) secondo cui invece qualsiasi autorità marittima è obbligata a intervenire nella gestione di un soccorso dovunque esso sia. Lo ha ribadito in serata a Sky il ministro della Difesa Elisabetta Trenta: «Stiamo valutando la possibilità di fornire equipaggiamento alla Libia per rafforzarne il lavoro nelle acque di loro competenza.
Se qualcosa si muove in prospettiva, rimane invece in pieno stallo la situazione di oltre 300 profughi che continuano a vagare per il Mediterraneo «rimbalzati» da mezza Europa. Si tratta di quelli imbarcati da giorni sulla Lifeline, che attualmente naviga in acque internazionali a sud di Malta, più altri 113 che da ieri mattina si trovano su un cargo danese ormeggiato davanti al porto Pozzallo. Si chiama Alexander Maersk e nella notte, con l'aiuto dei volontari di Lifeline, ha deviato la sua rotta per soccorrere un gommone al largo delle coste italiane: i naufraghi sono saliti a bordo utilizzando una scala di maglia da 5 metri.
Né gli uni né gli altri stanno vivendo ore facili. «Sulla Lifeline alcune forniture sono esaurite - ha scritto ieri su Twitter l'equipaggio -, abbiamo bisogno di farmaci, coperte e cibo». Appello raccolto da Sea Watch Seaeye (altre due Ong tedesche con navi in zona), mentre Malta ha accettato di evacuare uno dei migranti che aveva bisogno di cure urgenti. Quanto ad aprire il porto di La Valletta, invece, non se ne parla. «L'Italia ha ragione nel dire che la nave non ha rispettato le regole - ha detto il premier Joseph Muscat -, dovrebbe tornare da dove è venuta per non creare un'escalation. Però è sbagliato dire che dobbiamo accoglierli noi: siamo un paese sovrano e nessuno deve dettarci cosa possiamo o non possiamo fare».
Emergenza sanitaria pure a bordo della Alexander Maersk, da cui sono state trasbordate cinque persone: una donna incinta all'ottavo mese col marito, una bimba di 8 anni fortemente disidratata e la mamma con un fratellino di 2 anni, tutti sudanesi. Ma anche qui, nessuna apertura da parte dell'Italia su un possibile attracco. «Queste navi si possono scordare di raggiungere l'Italia - ha ribadito Salvini su Facebook -, voglio stroncare gli affari di scafisti e mafiosi». Gli ha risposto duramente il comandante della Lifeline Klaus Pete: «Lo invito a fare un viaggio con noi, solo così potrà rendersi conto della situazione. Mi vergogno delle sue parole, su questa nave siamo tutti volontari e nessuno guadagna un soldo dai salvataggi. Se vuole arrestarmi può venire qui a prendermi».
Intanto però i flussi non si fermano, in nessun angolo del Mediterraneo.
Il soccorso marittimo spagnolo ieri ha soccorso 739 persone tra Gibilterra,'Andalusia e le Canarie, mentre nelle ultime 48 ore in Sardegna, sulle coste del Sulcis, sono sbarcati 59 migranti. E due sono stati arrestati: un 30enne già espulso dall'Italia nel 2016 e un 35enne ricercato per un furto in appartamento commesso in Germania nel 2017.
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