Eppure, dopo due anni filati di smart working, un lavoratore su due dice di voler continuare così. Niente ufficio, connessione da casa e ciabatte sotto il tavolo. In vista del 31 marzo, data in cui scadranno le misure emergenziali anti Covid, l'Istituto nazionale per l'Analisi delle politiche pubbliche ha indagato sulle intenzioni delle 7,2 milioni di persone che nel 2021 hanno lavorato da remoto. Il 46%, potendo, sceglierebbe di connettersi da casa almeno per tre giorni alla settimana, soprattutto i pendolari, che stanno risparmiando soldi e tempo. E sono più rilassati rispetto ai tempi di attese sui binari, traffico, ritardi e imprevisti vari durante il tragitto casa-ufficio.
Ipotizzando di rendere perenne lo smart working, oltre un terzo degli occupati si sposterebbe in un piccolo centro, magari vicino alla città dove lavora adesso, in provincia. Dove spesso il costo della vita è inferiore rispetto alle grandi città. E quattro persone su dieci invece si trasferirebbero in un luogo isolato a contatto con la natura. Inoltre, pur di lavorare da remoto, un lavoratore su cinque accetterebbe anche un taglio sullo stipendio. Ne guadagnerebbe però, dice, in qualità di vita.
Tra i punti critici del cambio di vita c'è la tendenza all'isolamento generata dal lavoro agile (segnalata da quasi il 64%); inoltre circa il 60% ritiene che lo smart working non aiuti nei rapporti con i colleghi; in più, per oltre il 60% risulta problematico l'aumento dei costi delle utenze domestiche. Al contrario, è decisamente positiva la valutazione sulla libertà di organizzare il lavoro e gestire gli impegni familiari. Oggi la metà delle professioni qualificate può erogare oltre il 50% della prestazione da remoto a fronte di un decimo delle professioni non qualificate. Questa segmentazione è frutto della natura della prestazione e di una cultura organizzativa che deve essere aggiornata alla luce dell'esperienza del lavoro agile.
«Non sappiamo quale sia l'atteggiamento dei lavoratori verso i molteplici aspetti che costituiscono la modalità dello smart working - spiega Sebastiano Fadda, presidente Inapp - ma sappiamo da questa indagine quale sia l'atteggiamento dei lavoratori nei confronti del lavoro da remoto così come è andato configurandosi sotto la frustata della pandemia. Nel complesso la valutazione dei lavoratori è positiva, anche se si manifestano alcune criticità come ad esempio il problema della disconnessione e dei costi delle utenze domestiche.
Da ciò si desume che esiste una base per passare dal semplice lavoro da remoto emergenziale a nuovi modelli di organizzazione del lavoro associati a innovative reingegnerizzazioni dei processi produttivi, ma che bisogna adoperarsi per risolvere le criticità».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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