Il via libera scontato di Camera e Senato alle risoluzioni di maggioranza sulla Nadef ha aperto ufficialmente la stagione della legge di Bilancio. Il ministro dell'Economia, Daniele Franco, in audizione sulla Nota di aggiornamento, ha fornito alcune indicazioni seppur senza entrare nel merito dei provvedimenti. Il catalogo delle richieste dei partiti è molto ampio, ma per quanto la dotazione della manovra sia stata aumentata ricorrendo a un innalzamento del tetto del deficit di 22 miliardi (1,2 punti di Pil).
Il primo pungolo è giunto proprio dalla risoluzione di maggioranza che invita a «prevedere con massima urgenza» misure «che non rientrano nell'ambito operativo del Pnrr ma che concorrono anche a valutare meccanismi di flessibilità in uscita del mercato del lavoro». In pratica, si tratta di ammorbidire lo scalone che dall'anno prossimo con la fine di quota 100 consentirà di pensionarsi solo al compimento del 67simo anno di età oppure con 42 anni e 10 mesi di contributi. «È una delle questioni aperte che affronteremo nella legge di Bilancio», ha replicato il titolare del Tesoro. Ma, al momento, appare improbabile che si possa effettuare un intervento più incisivo rispetto al potenziamento dell'Ape social (magari ampliando la platea dei lavori gravosi). L'aumento di spesa causato dal pensionamento anticipato voluto dal governo gialloverde produrrà un incremento di spesa di 18,8 miliardi al 2030, quindi i margini sono stretti.
Tanto più che ieri Franco ha sottolineato come una misura per la quale la maggioranza ha richiesto la proroga come il Superbonus 110% sia non sostenibile a lungo. «Le costruzioni sono un settore che va sostenuto, tenendo però presente che bisogna evitare il rischio di una bolla e avendo anche a mente l'onere per la finanza pubblica», ha spiegato aggiungendo che «se ciascun italiano fa domanda, per 30 milioni di unità immobiliari l'effetto sui conti e sul debito è stratosferico». Insomma, l'estensione a tutto il 2023 resta nel novero delle possibilità, ma occorre ricordare come estenderlo a tutto il 2022 sia costato 18 miliardi finanziati da Pnrr e Fondo complementare. L'allungamento, perciò, imporrebbe oneri per una decina di miliardi salvo un ridisegno complessivo dei bonus dedicati al settore immobiliare.
Ma è proprio il fisco nel suo complesso (e non solo il ddl delega) a rendere più complicato il cammino della legge di Bilancio 2022. A disposizione ci sono un paio di miliardi per l'anno prossimo e uno per il 2023. Troppo poco per abbattere lo scaglione Irpef del 38%, ma abbastanza per avviare un mini-taglio del cuneo come vorrebbe la sinistra in maggioranza che spinge per l'utilizzo dei 4,5 miliardi del Fondo alimentato dai maggiori introiti della lotta all'evasione. Parte del deficit potrebbe essere speso in quest'ambito, occorrerà vedere come e quanto. Tra gli impegni inderogabili, infatti, figura anche l'assegno unico per i figli che costerà altri 3 miliardi, mentre almeno altri 5 miliardi dovrebbero andare alla riforma degli ammortizzatori del ministro Orlando.
Ecco perché il centrodestra (ma anche M5s) spinge per una rottamazione-quater. «È una questione che stiamo valutando e stiamo vedendo se qualche ulteriore spalmatura degli oneri possa essere considerata», si è limitato a dire il ministro premettendo che «possiamo smussare e diluire questa fase, però bisogna gradualmente tornare verso una situazione di normalità».
Nella sessione di bilancio ci sarà un convitato di pietra: l'inflazione sotto forma di caro-energia. E Franco ha accennato a eventuali nuove misure da valutare in sede europea dopo i 4,7 miliardi già spesi per calmierare le bollette.
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