Taiwan al voto col timore delle ultime elezioni libere

La minaccia di Pechino: "Tolleranza al limite"

Taiwan al voto col timore delle ultime elezioni libere
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A dar retta agli esperti, quelle di oggi potrebbero essere le ultime elezioni libere a Taiwan prima che la Cina rossa di Xi Jinping sferri il più volte minacciato attacco militare per annettersi l'isola. Eppure, nell'ultimo giorno di campagna elettorale, sembra quasi prevalere un desiderio di rimozione. Come spiegare altrimenti che il candidato presidente di un partito ultraminoritario, Ko Wen-je, che si appella a quegli elettori che sono stanchi di sentir parlare solo di Cina, raccolga nei sondaggi almeno il 20% dei voti? E che Hou Yu-ih, l'uomo dello storico partito anticomunista Kuomintang, proponga invece un improbabilissimo compromesso con Pechino in nome della pace, avvicinandosi al 35%?

In realtà a Taiwan lo sanno tutti: il rischio di aggressione cinese entro i prossimi cinque anni è assolutamente reale, ma vivere ogni giorno col pensiero della guerra incombente è quasi insopportabile. Il risultato è che, a ventiquattr'ore dal voto per scegliere il politico che dovrà gestire la minaccia di un vicino strapotente che ripete che il «ritorno alla madrepatria» (che ritorno non è, perché qui i comunisti non hanno governato mai) è inevitabile, il solo candidato che promette di mantenere ferma la barra sulla linea dell'indipendenza di fatto e dell'alleanza con gli Stati Uniti è l'attuale vicepresidente William Lai, che spera di prevalere con un magro ma sufficiente 40% dei voti. Ieri, tra la capitale Taipei e il vasto e popoloso municipio periferico di New Taipei, i tre candidati alla poltrona più scomoda dell'Asia hanno tenuto i loro comizi finali. Affollatissimi, perché Taiwan è un Paese dove la democrazia piace assai, prova vivente di ciò che potrebbe essere la Cina intera se il partito comunista non la tenesse in ostaggio: ed è per questo che Xi vuole mangiarsela, come ha fatto con Hong Kong che rappresentava un'alternativa troppo pericolosa al suo regime poliziesco e brutale. Lai ha descritto il voto come «una scelta tra democrazia e autocrazia», criticando il rivale Hou «troppo filocinese».

Ma la folla che in un vicino stadio strapieno inneggiava al Kuomintang portava i cartelli «Vogliamo la pace, non la guerra». E il terzo incomodo Ko corteggiava accusava i suoi due avversari di incapacità ad uscire da un cul-de-sac ideologico. Rimane il fatto che le interferenze nel voto da parte del vicino cinese (solo 110 km di mare separano l'isola dalla Repubblica Popolare) non si sono mai fermate.

Ancora ieri da Pechino è arrivato l'avvertimento ai taiwanesi a «fare la scelta corretta». Lo ha inviato in video il capo delle forze armate cinesi in persona, precisando che «nessuna deriva indipendentista sarà tollerata». Un'intimidazione difficile da ignorare.

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