Alla fine di una giornata in cui il governo in Italia è andato sotto sulla riduzione del canone Rai per mano di Forza Italia in Senato, poi la Lega ha restituito il colpo su un emendamento degli azzurri per la sanità in Calabria sempre in Senato ed infine, in Europa, la maggioranza si è divisa sul voto alla commissione della von der Leyen, Antonio Tajani non fa drammi. Anzi, si sente sollevato e tradisce pure un moto di soddisfazione. La sensazione di liberazione che accompagna ogni chiarimento.
L'obiettivo era inviare un segnale agli altri partner per evitare guai peggiori in futuro. E così è stato. «Lo scorso anno - è il suo racconto in privato - i leghisti avevano messo la riduzione del canone Rai nella manovra senza avvertirci. Quest'anno, invece, hanno presentato un emendamento e io li ho avvisati subito che noi non l'avremmo votato. E non sono un buffone che ci ripensa. La Meloni? Non capisco perché sia andata dietro a Salvini, forse si è sbagliata».
Appunto, l'episodio di ieri deve essere considerato un avviso ai naviganti. «Io - scandisce le parole - non accetto forzature. Né tantomeno qualcuno può impormi il silenzio. Non è che loro possono fare una baraonda sul canone e io non posso parlare, ad esempio, dello ius scholae. Né invado il campo degli altri. Io non mi sogno d'intervenire nello scontro di Salvini con Landini sullo sciopero dei trasporti, mentre lui non ha remore a dire la sua sul mandato di arresto a Netanyahu. Lo dico fin d'ora, noi sull'operazione Unicredit sulla Bpm non siamo né con, né contro Orcel, siamo neutrali. Il che significa che siamo per il libero mercato. In sintesi: patti chiari e amicizia lunga».
Da questo «excursus» si arguiscono le ragioni che stanno dietro alle schermaglie tra gli alleati e alle scosse di terremoto nel governo. A cominciare da quel voto in commissione che ha visto l'esecutivo andare sotto e ha rovinato la giornata alla Meloni («è puro masochismo») che scherzando ha paragonato lo scontro tra forzisti e leghisti a quello tra israeliani e Hezbollah. Ma come a Beirut il cessate il fuoco, la tregua - per stare appresso al ragionamento di Tajani - prevede il rispetto di alcune regole di comportamento.
La verità è che le uscite «populiste» di Salvini per risalire la china del consenso nei sondaggi, finiscono per stressare la maggioranza. Ieri appunto il governo è andato sotto a Roma e la maggioranza si è divisa a Strasburgo sul voto alla Commissione, quindi, sullo stesso rappresentante italiano nell'organismo, cioè Raffaele Fitto. La Lega ha votato contro. Una presa di posizione in cui ha privilegiato l'appartenenza ideologica - accusa rivolta pure al Pd prima che accettasse di votare a favore di Fitto - rispetto all'interesse nazionale. Un neo che i forzisti ci tengono a non nascondere. «Salvini - stigmatizza il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè - ha perso un'occasione per dimostrasi un vero patriota, peccato».
Di questi pizzicotti tra alleati ne vedremo molti d'ora in avanti. Finché la coalizione non ritroverà un suo equilibrio. Si parli del posto lasciato vuoto da Fitto nel governo, oppure degli sbocchi che avrà l'impasse sulla presidenza della Rai che vede la candidatura della Agnes sponsorizzata da Forza Italia di fatto bruciata.
E naturalmente le congetture sui propositi futuri degli alleati-avversari si sprecano e non scarseggiano di dietrologia in casa leghista. «Sul canone - è l'analisi maliziosa di Stefano Candiani - è andato in scena un conflitto di interessi plateale. Parlo del movente che spinge Forza Italia a dire no alla riduzione del canone Rai, cioè la pubblicità per le tv dei Berlusconi. Un tema su cui il Pd è stato cauto, ha usato carezze con gli azzurri. Perché? Semplice vuole preservare Forza Italia in vista di possibili convergenze per il domani».
Insinuazioni «avvelenate» per il futuro, appunto.
Per il presente, e probabilmente, fino al 2027, invece, i fratelli coltelli, volenti o nolenti, saranno costretti a stare insieme: nessuno ha interesse a rompere l'equilibrio politico attuale, a rischiare una crisi di governo che potrebbe portare ad elezioni anticipate in cui - al momento - tutti i partiti del centro-destra, pardon del destra-centro, avrebbero molto da perdere e nulla da guadagnare.
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