Talebani inarrestabili. Trappola Afghanistan il Vietnam di Biden

Errori strategici e fretta di firmare l'intesa zoppa di Trump: la ritirata piena di pericoli

Talebani inarrestabili. Trappola Afghanistan il Vietnam di Biden

La trappola afghana, la stessa in cui tra il 19mo e il ventesimo secolo finirono avviluppati l'impero inglese e quello sovietico, sta per divorare anche Joe Biden e la sua amministrazione. E più il presidente cerca di allontanarsene più sembra restarne invischiato.

Persino l'ultima sua uscita, ovvero la promessa di mettere una pezza al frettoloso addio a Kabul inviando stormi di B-52 ad arginare l'avanzata talebana, rischia di rivelarsi l'ennesima dimostrazione d'inadeguatezza. I B-52, le fortezze volanti capaci di scaricare 30mila chili di bombe a oltre 8mila chilometri di distanza, simboleggiano sicuramente la potenza degli Usa. Dall'altra parte, però, richiamano alla memoria l'amara sconfitta del Vietnam dove, analogamente a quanto potrebbe succedere nei prossimi mesi (o settimane) in Afghanistan, i B-52 non bastarono a bloccare la marcia dei vietcong. Ma l'illusorio ricorso alle «fortezze volanti» promesso poche ore prima della caduta di Aibak - sesto capoluogo provinciale conquistato dai talebani dopo la presa di Kunduz Taloqan Sheberrghan Zaranj e Sar -e-Pul - è soltanto l'ultima delle assai avventate e sconsiderate mosse inanellate dal Presidente democratico.

L'inizio di tutto è stata la precipitosa sottoscrizione dell'avvelenato negoziato sull'Afghanistan ricevuto in eredità da Donald Trump. Un negoziato condizionato dalla fretta di un presidente uscente convinto che l'addio alla guerra più lunga della storia americana gli avrebbe regalato la rielezione. Un negoziato durante il quale gli Usa si sono ben guardati dall'imporre una trattativa tra gli alleati di Kabul e il movimento talebano come avrebbe fatto qualsiasi potenza occupante chiamata a gestire un'ordinata transizione. Al contrario il governo di Kabul - eletto in base ai principi democratici imposti dagli Usa dopo la sconfitta talebana del 2011 - è stato trattato alla stregua di un'inutile zavorra ed estromesso dai negoziati. A gestire le intese con i talebani è stato mandato Zalmay Khalilzad, l'inviato di origini afghane già ambasciatore a Kabul e Baghdad. Lo stesso Khalilzad che nel 1997, alla vigilia degli attentati di Al Qaida alle ambasciate Usa in Africa, teorizzava l'opportunità di un'intesa con il mullah Omar per garantire il passaggio dall'Afghanistan del gasdotto progettato, al tempo, dalla multinazionale americana Unocal. E a rendere il tutto più svantaggioso per Washington e Kabul s'è aggiunta la scelta d'accettare come mediatore quell'Emirato del Qatar che - pur garantendo agli Usa le principali basi utilizzate in Medio Oriente - è stato sospettato, nei decenni, di appoggiare prima Al Qaida e i talebani in Afghanistan e poi lo Stato Islamico in Siria e Irak. Ma tutti questi drammatici peccati originali sono sembrati bazzecole agli occhi di un Biden convinto che l'uscita dall'Afghanistan imbastita dal suo predecessore restasse, in fondo, un'ottima opportunità per conquistar consensi anche tra quella destra repubblicana più allergica agli interventi esterni.

E non pago di sottoscrivere il lacunoso progetto trumpiano Biden ha confermato nella sua carica anche l'inviato per l'Afghanistan Zalmay Khalizad. E così, a soli 20 giorni dalla prevista conclusione del ritiro americano ecco servito il disastro afghano. Mentre l'America ha già ritirato la sua flotta aerea, abbandonato la base di Baghram, centro nevralgico di ogni operazioni anti talebani, e si ritrova con appena 700 uomini ancora sul terreno, ecco prendere corpo il grande inganno intessuto dai talebani con l'appoggio del Qatar e la benedizione di un Khalizad convinto, oggi come trent'anni fa, che i nipotini del Mullah Omar siano interlocutori affidabili. La promessa talebana, messa nero su bianco durante i negoziati di Doha, di attendere il ritiro americano, avviare negoziati diretti con Kabul e astenersi dal prendere di mira i capoluoghi principali è già carta straccia.

E dietro le quinte prende corpo una prospettiva ancor peggiore per l'amministrazione Biden. Quella che nel ventesimo anniversario dell'11 settembre non si celebri la fine della più lunga guerra americana, ma la rievocazione di un nuovo, e assai amaro, Vietnam.

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