Una tegola si abbatte sul capo di Roberto Speranza. Mentre il Parlamento pensa di istituire una commissione d'inchiesta sulla gestione della pandemia, ieri il Tar del Lazio ha condannato il ministero della Salute a pubblicare i verbali della task force anti coronavirus. Si tratta di documenti importanti, utili a valutare le scelte operate durante la prima ondata e fino ad oggi tenuti segreti. Gelosamente conservati nei cassetti del dicastero.
Gli atti riguardano le riunioni svoltesi a partire dal 22 gennaio del 2020 tra Speranza e un gruppo di esperti. È in quella sede che sono nate le prime misure per il contenimento del virus. Lì è sorta l'idea di disporre lo stato di emergenza. E lì venne deciso cosa fare (o cosa non fare) del piano pandemico anti-influenzale. Giuseppe Ippolito, direttore dello Spallanzani, il 29 gennaio suggerì ai colleghi di utilizzarlo (benché non aggiornato) e di adeguarlo alle linee guida dell'Oms. È stato fatto? Non sembra, visto che si preferì scrivere da zero un «piano segreto» nuovo di zecca. E perché? Mistero. La risposta ai quesiti è forse contenuta in quei verbali, per questo ritenuti così rilevanti.
Nonostante Speranza rivendichi assoluta trasparenza, di fronte all'accesso agli atti del deputato FdI, Galeazzo Bignami, il dicastero ha sempre opposto un muro di gomma. Prima ha sostenuto che la task force fosse solo un «tavolo informale». Poi ha negato l'esistenza di «verbali», ma solo di «resoconti informali». Infine ha parlato di atti redatti da un funzionario, che annotava gli interventi senza però trascriverli alla lettera. Una strategia da azzeccagarbugli per convincere i giudici che, trattandosi di appunti «non ufficiali», il ministero non era obbligato a fornirli. Tesi smontata pezzo per pezzo dal Tar, secondo cui il diritto di accesso agli atti del governo «prescinde dalla natura dei documenti richiesti».
Il ministero ora ha 30 giorni per desecretare l'intero faldone. «Dopo la prima condanna del Tar inflitta sul piano segreto, arriva la seconda vittoria di FdI contro Speranza», esulta Giorgia Meloni. Le fa eco Francesco Lollobrigida, che parla di una «battaglia per la trasparenza condotta nell'interesse di tutti gli italiani».
Quella trasparenza che, a quanto pare, latita non solo dalle parti del ministero ma anche nella sede ginevrina dell'Oms. Nei giorni scorsi, infatti, l'Agi aveva chiesto delucidazioni sulle linee guida che il 21 gennaio 2020 restrinsero la nozione di caso sospetto Covid, scartando chi non era stato in Cina e escludendo così dal tracciamento migliaia di persone con polmoniti anomale. Sul documento pende una «gravissima anomalia», come l'ha definita Consuelo Locati, capo del pool di legali che assiste i familiari delle vittime di Bergamo: dai metadati risulta che il file pdf sia stato «creato» il 23 gennaio, cioè tre giorni dopo la sua pubblicazione ufficiale. Perché? L'atto è stato modificato o retrodatato? Le ipotesi in campo sono diverse, e solo un'analisi del documento word originale permetterebbe di risolvere il mistero. All'Agi, però, l'Oms ha risposto picche: il file «non è disponibile».
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