Le tariffe devastano tutti ma Trump sbaglia i calcoli

Anche se l'import Ue dagli Usa era in parte penalizzato il surplus europeo non è certo determinato dai dazi

Le tariffe devastano tutti ma Trump sbaglia i calcoli
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I dazi Usa del 20% su molti prodotti importati dall'Unione europea - che si aggiungeranno a quelli già previste per prodotti come automobili (25%), acciaio e alluminio - rappresentano un vero e proprio sconvolgimento dei rapporti commerciali bilaterali tra le due sponde dell'Atlantico. Tanto più se si considera che il metodo di calcolo delle tariffe applicate dall'amministrazione Trump è, quanto meno, singolare.

Un'analisi di Confindustria (parzialmente ripresa da Porta a porta) sull'imposizione precedente il 2 aprile evidenzia come le relazioni fossero improntate al libero scambio più che alla penalizzazione dei commerci. Anzi, a dire il vero, per quanto non elevati, i dazi erano spesso più alti in Europa che negli Stati Uniti. Ad esempio su antibiotici, motori, carrelli e mobili gli Usa non applicavano nessuna penalizzazione, mentre Bruxelles impone rispettivamente lo 0,76%, il 3,28%, il 4,42% e l'1,26 per cento. L'equilibrio dominava sugli abiti (11,1% Usa e 12% Ue), sulle pompe per aria (1,5% contro 2%) e sui motori elettrici (2,7% entrambi). Al contrario, l'Europa aveva penalizzato maggiormente l'import di autoveicoli da turismo (9,8% contro il 2,5%), motocicli (6,7% contro 0,6%), turbine a gas (3,35% contro 0,88%) e di pasta (8,5% contro 4,5%). Insomma, il saldo era doppiamente favorevole al Vecchio Continente non solo per il saldo commerciale (235 miliardi di dollari) ma anche per il sistema tariffario ancorché l'export Usa verso l'Europa sia inferiore (370 miliardi contro 605) e composto per lo più da prodotti farmaceutici, computer, motori, petrolio, mangimi e cereali.

Ed è proprio su questo deficit che si è innestato il calcolo dei dazi di Trump intesi come risposta alle imposizioni europee: ha diviso i 235 miliardi di disavanzo per i 605 di import ottenendo 0,39 cioè tariffe del 30% poi «dimezzate» al 20%. Ma, economicamente e matematicamente parlando, un surplus commerciale non è frutto di dazi che frenano l'import, bensì di un insieme di variabili un po' più complesse come la maggiore propensione Usa ai consumi e agli investimenti.

Chiudere le frontiere alle merci non sembra la soluzione migliore. Come aveva dichiarato il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, presentando il rapporto di previsione del suo Centro studi, «sarà un colpo durissimo per le nostre imprese». Gli Stati Uniti rappresentano un mercato fondamentale per l'Italia: nel 2024, l'export di beni verso gli Usa ha superato i 65 miliardi di euro, pari a oltre il 10% delle esportazioni totali. I settori più esposti alle misure protezionistiche americane sono farmaceutica, bevande, autoveicoli e altri mezzi di trasporto.

Secondo il presidente di Federmeccanica, Federico Visentin, «lo scenario che si sta delineando è preoccupante, il settore della metalmeccanica, da molti trimestri è appesantito dalla crisi dell'automotive». La federazione delle industrie metalmeccaniche aveva stima che il ribilanciamento delle tariffe doganali avrebbe gravato sugli autoveicoli per circa 450 milioni di euro rispetto ai 90 milioni attuali, sulle moto per 17 milioni rispetto agli 1,3 milioni di oggi, per 28 milioni sui carrelli elevatori che fino ad oggi erano liberi dai dazi.

I flussi di prodotti metalmeccanici verso gli Stati Uniti nel 2024 erano pari a 29 miliardi. «Una guerra combattuta a suon di dazi fa male a tutti», ha concluso Visentin auspicando che «l'Ue si muova unita verso la stessa direzione».

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