Tasse alle multinazionali, il no di Trump sveglia l'Ue

Donald ha ordinato misure ritorsive contro i Paesi che applicano imposte extraterritoriali. Un favore anche ai giganti della tecnologia

Tasse alle multinazionali, il no di Trump sveglia l'Ue
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Non solo una guerra dei dazi, ma anche delle tasse. È quella che Donald Trump, all'insegna dell'«America First», minaccia di scatenare su scala globale. L'atto di belligeranza è contenuto in uno degli ordini esecutivi firmati lunedì sera dal nuovo presidente nello Studio Ovale della Casa Bianca, poche ore dopo il suo giuramento. Trump ha ordinato ai funzionari del Tesoro di mettere a punto «entro 60 giorni» una serie di misure ritorsive contro quei Paesi che applichino imposte «extraterritoriali» alle multinazionali Usa. Contemporaneamente, Trump ha ritirato il sostegno degli Stati Uniti al patto fiscale globale raggiunto lo scorso anno in sede Ocse, che consente ad altri Paesi di imporre tasse aggiuntive alle multinazionali Usa. Di fatto, è il definitivo stop americano alla minimum tax del 15% sulle multinazionali, approvata nel 2021 in occasione del G20 italiano presieduto da Mario Draghi, con data effettiva a partire dal 2024. Secondo le stime, la minimum tax avrebbe dovuto garantire fino a 192 miliardi di dollari l'anno di entrate fiscali extra. Alla proposta dell'Ocse, mai approvata dal Congresso Usa, avevano aderito 137 Paesi, tra cui gli Stati membri dell'Ue, il Regno Unito, la Corea del Sud, il Giappone e il Canada.

In base al cosiddetto «secondo pilastro» dell'accordo Ocse, se gli utili aziendali fossero stati tassati al di sotto del 15 percento nel Paese in cui aveva sede la multinazionale, i firmatari avrebbero potuto potenzialmente imporre imposte aggiuntive. Una parte delle misure interconnesse, la cosiddetta regola degli utili sottotassati, era da subito entrata nel mirino dei Repubblicani, che l'hanno bollata come «discriminatoria», bloccando l'approvazione del Congresso Usa. Ora, secondo le direttive contenute in un memorandum presidenziale di Trump, ogni accordo raggiunto dall'amministrazione Biden «non ha effetto negli Stati Uniti in assenza di un'azione del Congresso nell'adottare» quanto stabilito.

Già ai tempi della sua prima Amministrazione, Trump si era scontrato con la Ue che proponeva di colpire fiscalmente i giganti tecnologici Usa come Apple e Alphabet (Google). Difficile non vedere in questa nuova offensiva l'influenza dei super miliardari tech che, oltre a Elon Musk, hanno voltato le spalle ai democratici e lunedì erano in prima fila nella Rotonda del Campidoglio al giuramento di Trump. I vari Mark Zuckerberg, Peter Thiel, Jeff Bezos, Tim Cook, Sundar Pichai che negli ultimi mesi e settimane hanno frequentato con assiduità Mar-a-Lago. «Con i regolamenti e le tasse l'Europa ci danneggia, ma danneggia soprattutto se stessa», ha detto recentemente in un'intervista al New York Times Marc Andreessen, uno dei giganti della Silicon Valley, ex mega donatore democratico, ora diventato uno dei più ascoltati consiglieri di Trump per il settore high-tech e l'Intelligenza Artificiale.

L'ordine emanato da Trump lunedì prevede inoltre di indagare «se qualche Paese straniero non rispetti alcun trattato fiscale con gli Stati Uniti o abbia delle norme fiscali in vigore, o è probabile che metta in atto norme fiscali che siano extraterritoriali o che colpiscano in modo sproporzionato le aziende americane». Secondo quanto riferito dal Financial Times, che ha lanciato l'allarme sui rischi della potenziale «guerra delle tasse» tra Washington e il resto del mondo, il segretario generale dell'Ocse Mathias Cormann ha per ora risposto con cautela. «Ci sono state preoccupazioni sollevate con noi dai rappresentanti degli Stati Uniti su vari aspetti del nostro accordo fiscale internazionale», ha detto.

L'Ocse, ha aggiunto, «continuerà a lavorare con gli Stati Uniti e tutti i Paesi al tavolo per supportare la cooperazione internazionale che promuove la certezza, evita la doppia imposizione e protegge le basi imponibili».

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