«Il dovere di versare i tributi è un valore che riguarda tutti gli appartenenti a una comunità, tutti i cittadini. Per i fedeli vi è un significato ancora più profondo». È la sintesi dell'intervento di Ruffini, direttore dell'Agenzia delle Entrate, dalle colonne di Avvenire. Con un tono da sermone alle pecorelle smarrite, il dirigente dello Stato cita nell'ordine il Vangelo di Matteo (rendere a Cesare ciò che è di Cesare), il Concilio Vaticano II (il dovere di apportare alla cosa pubblica le prestazioni, materiali e personali, richieste dal bene comune, da Gaudium et spes), il Catechismo della Chiesa cattolica (la corresponsabilità nel bene comune comporta l'esigenza morale del versamento delle imposte), san Giovanni Paolo II nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis (la Chiesa non rinuncia a stigmatizzare la pratica dell'evasione fiscale), per finire con l'immancabile Papa Francesco. I contribuenti non sono pecorelle smarrite, ma cittadini operosi che producono ricchezza, però qualcosa sulla spiritualità si può dire. La Chiesa predica, ma poi schiva le tasse sugli immobili usati come strutture alberghiere, e nel prelievo fiscale è parte, con l'8 per mille: più incassa lo Stato, maggiore la fetta che può andare alle casse vaticane. Tornando indietro alla Palestina, quelle tasse erano il tributo che gli occupati pagavano ai conquistatori romani e la buona novella, orientata al Regno dei Cieli e non alla felicità su questa Terra, contribuiva a non fomentare rivolte.
Ma lo stupore maggiore è per i contenuti, per quel «dovere di versare i tributi» che diventa «un valore per i cittadini». Nessun dubbio che per chi paga si tratti di un valore, frutto del proprio lavoro. Sul dovere, il principale è a carico dello Stato, che incassando assume la responsabilità di impiegare quelle risorse nel modo più efficiente ed efficace possibile: strade, scuole e insegnanti, ospedali e medici, trasporti, ordine pubblico e giustizia, amministratori pubblici e politici. L'elenco è dello stesso Ruffini, il quale aggiunge che i cittadini bisogna «renderli consapevoli di come vengano utilizzati i soldi delle loro tasse». Visto il livello dei servizi che riceviamo, viene da chiedersi se non siamo autorizzati ad evadere.
Il mantra della sinistra è che, se tutti pagassero le tasse, chi già le paga (i lavoratori dipendenti col prelievo in busta) ne pagherebbe di meno. Uno dei grandi falsi, che forse Ruffini potrebbe svelare.
Sono decenni che la lotta all'evasione produce, in media, oltre 15 miliardi di extra-gettito ogni anno, eppure nessuno di noi che paghiamo ha mai visto un euro di minor pressione: sarà mica che più gliene dai e più ne consuma? Pagare le tasse è un elemento essenziale del patto sociale e chi le evade si pone fuori dal campo di gioco. Ma lo Stato e la burocrazia che le sprecano, facendo scempio del lavoro e dell'operosità di una popolazione, sono peggio. Ma tanto peggio.
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