C'è un Paese spaventato, in cui è aumentato del 20% il numero di famiglie che non arriva a fine mese (oltre sei su dieci, dati Bankitalia di ieri) e le altre, quelle che ce la fanno, pensano «di ridurre i consumi non durevoli nei prossimi tre mesi». L'idea di Draghi è aiutare chi non ce la fa e rassicurare gli altri per spingerli a spendere, mentre si vara una riforma fiscale che renda il fisco più equo: troppe regole e balzelli aggiunti negli anni. La proposta di Enrico Letta, una tassa sulla successione, va nel senso esattamente opposto: aumenta la pressione fiscale su chi può spendere e non fornisce vere opportunità a chi non ce la fa. A meno di non pensare che lo Stato che distribuisce soldi a pioggia sia un modello di crescita.
I tentativi di sostegno ideologico alla proposta Letta citano ipocritamente il parere favorevole di Luigi Einaudi sull'imposta di successione, dimenticando di specificare che all'epoca il reddito era tassato con un'aliquota dell'8 per cento (tramite l'imposta di ricchezza mobile). Nel suo libro appena uscito (La Repubblica delle tasse, ed. Castelvecchi, un bella rassegna di tutto il sistema fiscale) Gianluca Timpone (nel tondo qui sopra) esemplifica il primo nodo della tassazione sul reddito da cui ogni riforma deve partire e che Letta pare ignorare: oggi in Italia un dipendente che guadagna 30mila euro ne paga poco meno di 6mila di tasse sul reddito. Se dovesse lavorare di più e guadagnare altri mille euro, finirebbe con il consegnarne allo stato ben 450,«380 euro per lo scalone che subisce l'aliquota e 70 euro di minori detrazioni», spiega l'autore, esperto commercialista. Un vero e proprio disincentivo alla produttività.
Negli anni la logica di aggiungere una tassa alla volta in stile Letta ha fatto scuola. Il risultato è che nel 2019 la Cgia di Mestre aveva contato un numero record di scadenze fiscali per le Pmi: cento in un anno.
La strada indicata da Draghi è proprio quella di semplificare questo groviglio. A quanto pare Letta non condivide, dimenticando la marea di balzelli che già colpisce redditi e patrimoni. L'imposta di successione, mentre i ricchi veri possono tranquillamente portare al sicuro i patrimoni liquidi, colpirebbe soprattutto gli immobili già gravati da una patrimoniale da 21 miliardi com'è l'Imu e da mille altri balzelli. Alcuni veramente bizantini. Il certificato energetico, ormai obbligatorio anche per dare in affitto una casa, non è letteralmente una tassa ma di fatto è una spesa imposta dallo Stato. E inspiegabilmente scade dopo dieci anni, pure se la casa è rimasta la stessa. E cosa fa il legislatore? Lo rende obbligatorio per il Superbonus 110%, ma non lo stesso: documento diverso, nuova spesa. «In più la redditività degli immobili, -dice il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa- non è tutelata dallo Stato: i proprietari di case date in affitto a utenti morosi sono gli unici a non aver ricevuto ristori mentre il governo vietava gli sfratti».
«È pieno di microtasse odiose -ricorda Timpone- come la tassa sulla disoccupazione, il versamento imposto a chi partecipa a un concorso. O la tassa sulla morte, il balzello chiesto per avere un certificato che attesti il decesso.
O quella sulle insegne, che colpisce l'imprenditore che cerca di farsi notare per fare più affari». E infine la tassa sulla fortuna, l'unica di cui nessuno si lamenta davvero: chi la paga ha vinto una lotteria. Letta ci faccia un pensierino.
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