L'Iran va al voto, ma il grande ritorno di Mahmud Ahmadinejad non ci sarà. Le elezioni presidenziali arrivano in un momento di tensioni tra la Repubblica islamica e l'Occidente. Sia perché Teheran fornisce armi alla Russia in guerra contro l'Ucraina, sia per l'avanzamento del suo programma nucleare, così come per la guerra tra Israele e Hamas. Il sostegno alle sue milizie in tutto il Medioriente è sempre più sotto i riflettori, mentre i ribelli Houthi dello Yemen attaccano le navi nel Mar Rosso a causa del conflitto a Gaza. Ora si aprirà una campagna breve, di due settimane, per sostituire Ebrahim Raisi, un ultraconservatore protetto dal leader supremo, Ali Khamenei. Lo stesso Raisi era indicato come possibile successore del religioso 85enne. L'ex presidente e il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian sono morti in un incidente in elicottero il 19 maggio. Ieri il Consiglio dei Guardiani, l'organo composto da religiosi e giuristi, supervisionato da Khamenei, ha accettato sei delle 80 candidature presentate per le elezioni presidenziali anticipate, previste per il 28 giugno. Il fatto che il Consiglio abbia escluso la gran parte dei concorrenti era previsto.
Tra quelli scartati c'è l'ex presidente conservatore Ahmadinejad, già eliminato nel 2017 e nel 2021, noto per la repressione, seguita alla sua contestata rielezione nel 2009, della cosiddetta Onda Verde, e per le sue posizioni negazioniste sull'Olocausto, oltre all'ex presidente del Parlamento Ali Larijani, considerato un moderato. Il Consiglio ha inoltre continuato a non accettare una donna o chiunque chiedesse un cambiamento nel Paese.
Il candidato più importante rimane Mohammad Bagher Qalibaf, 62 anni, presidente del Parlamento, ex sindaco di Teheran, che ha stretti legami con i Pasdaran. Tuttavia, in quanto ex generale, prese parte al soffocamento delle rivolte degli universitari nel 1999. Secondo alcuni rapporti, ordinò anche l'uso di armi contro gli studenti nel 2003 mentre era capo della polizia. Qalibaf si è candidato già senza successo nel 2005 e nel 2013 e si è ritirato nel 2017 per sostenere Raisi nella sua prima corsa per le presidenziali, che perse. Tuttavia, il ruolo di Qalibaf nelle repressioni potrebbe essere visto in modo diverso ora, dopo anni di disordini in Iran, sia per l'economia in difficoltà che per le proteste scatenate dalla morte nel 2022 di Mahsa Amini.
Gli altri concorrenti sono Saeed Jalili, ex negoziatore sul dossier nucleare, che si è presentato nel 2013 e si è registrato nel 2021 prima di ritirarsi per sostenere Raisi. Il sindaco di Teheran Ali Reza Zakani e Mostafa Pourmohammadi, ex ministro dell'Interno e della Giustizia.
E ancora Amirhossein Ghazizadeh Hashemi, vicepresidente di Raisi, capo ultraconservatore della Fondazione dei Martiri, che ha partecipato alle elezioni del 2021 ed è arrivato ultimo con poco più di un milione di voti. Infine Masoud Pezeshkian, l'unico riformista, ma che non ha possibilità di vittoria.
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