«Tutto il lavoro che fai, spesso in silenzio, a livello internazionale, senza ottenere nulla sul momento, ma costruendo credibilità e autorevolezza, prima o dopo torna» spiega al Giornale, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. E questa volta il «ritorno» è servito a portare a casa Cecilia Sala, un successo politico, d'intelligence e diplomatico, che ha permesso di risolvere il caso in sole tre settimane. Di solito ci vogliono mesi o anni per sbrogliare la matassa della cosiddetta «diplomazia» degli ostaggi. Giorgia Meloni ha attivato in prima persona canali con diversi Paesi. Gli stessi iraniani si fidano della sua parola e non vogliono tagliare i ponti con l'Italia.
Il «lavorio» internazionale è servito a riattivare il canale, che Meloni aveva già aperto in estate sulla guerra in Medio Oriente, con il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, per trovare una via d'uscita all'arresto della giornalista iraniana voluto dai Pasdaran. I Guardiani della rivoluzione hanno subito chiesto che il loro uomo dei droni, Mohammad Abedini Najafabadi, arrestato a Malpensa tre giorni prima della giornalista a Teheran, non venisse consegnato agli americani.
L'Italia ha bisogno di un gioco di sponda, di qualcuno in Medio Oriente, che possa dare una mano e l'emiro del Qatar Tamim bin amad Al Thani non si tira indietro. Doha è specializzata in contatti, accordi riservati e missioni impossibili che riguardano faccende ben più gravi e complesse come le trattative con Hamas per il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani. La «rappresaglia» iraniana per Abedini deve rientrare nell'alveo del governo guidato dal presidente Pezeshkian, che si è fatto eleggere promettendo di allentare le sanzioni internazionali. Così è scattata una «triangolazione» di interessi, che coinvolge la terza, sponda cruciale del caso, gli Stati Uniti. Non solo il presidente agli sgoccioli, Joe Biden, e la sua amministrazione ancora in carica, il canale formale e ufficiale, ma quello eletto che si insedierà il 20 gennaio, Donald Trump, e interessa molto di più a Teheran. Il primo segnale positivo arriva il 2 gennaio: il generale Giovanni Caravelli, capo dell'Aise, riceve dal suo omologo iraniano la disponibilità a un confronto. Il coordinamento dal giorno dell'arresto alle ultime ore, con qualche concitazione a Teheran, è nella mani di Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega per i servizi. «La svolta è stata la missione lampo di Meloni a Mar-a-Lago» racconta una fonte che ha seguito direttamente il caso, dove Meloni parla con il nuovo presidente (non solo) di Sala e porta messaggi iraniani concordando una via d'uscita. Il tanto vituperato Elon Musk, che ha un ottimo rapporto con Meloni, ma non è presente all'incontro, aveva, subito dopo l'elezione di Trump, incontrato l'ambasciatore iraniano all'Onu. E The Donald, durante il primo mandato, nonostante l'atteggiamento da duro, ha portato a termine ben sei casi di liberazioni e scambi di prigionieri, compresi due in Iran. Nel frattempo a Teheran i portavoce governativi sganciano il caso Sala da quello di Abedini per non dare l'idea del ricatto.
«Un governo debole come quello francese e tedesco non sarebbe mai riuscito a chiudere un'operazione del genere in così poco tempo - racconta la fonte del Giornale - Solo un esecutivo forte e credibile in Europa e Oltreoceano può giocare una partita del genere». Che non è gratis, ma prevede diverse condizioni, piccole e grandi. La più tenue che il ritorno casa dell'«ostaggio» non si trasformi subito in un megafono davanti a centinaia di microfoni contro il regime iraniano evitato a Ciampino.
L'Italia incassa che la giornalista torna a casa senza alcun scambio automatico e plateale di prigionieri. L'iraniano dei droni è ancora in carcere ad Opera e sul suo destino risponderà oggi in conferenza stampa Giorgia Meloni.
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