Quella telefonata di fuoco. Così Draghi archivia Giuseppi

L'ex premier contrario al cambio ai vertici degli 007: "Non dovevi farmelo". La replica: ricevo troppe critiche

Quella telefonata di fuoco. Così Draghi archivia Giuseppi

S e telefonando, un mercoledì. Giuseppe Conte si è subito surriscaldato. «Questa proprio non me la dovevi fare. È davvero un colpo basso». Mario Draghi invece è rimasto freddo come al solito, pure cortese. «Non potevo più aspettare. Mi dispiace, la situazione è diventata insostenibile, sono sommerso dalle proteste. Troppe storie, troppe voci. Ho deciso di cambiare». Via dunque dal Dis Gennaro Vecchione, al suo posto Elisabetta Belloni. Un'ambasciatrice invece di un generale. Una svolta. Aria nuova. Del resto, come si poteva pensare che, quattro mesi dopo aver lasciato Palazzo Chigi, in una cornice politica diversissima, l'ex premier pretendesse di continuare a controllare gli 007?

Lui pero no, non l'ha presa bene. «Furioso», dicono da Cinque Stelle. «Fuori dalla grazia di Dio», racconta un ministro grillino. D'altronde Draghi, dopo aver eliminato uno dopo l'altro l'intera schiera dei suoi uomini dalle stanze dei bottoni, gli ha tolto anche l'ultimo giocattolo, il più delicato, cioè la gestione dei servizi segreti. Eppure il presidente del Consiglio aveva cercato di usare tutto il tatto possibile. Dopo aver deciso l'avvicendamento, sostenuto pure dal Quirinale, si era persino consultato con Luigi Di Maio, che ha lavorato due anni con la Belloni alla Farnesina. «Ottima scelta - ha commentato il ministro degli Esteri - però adesso prima di ufficializzare la notizia forse bisogna avvisare Giuseppe».

«Giusto», ha concordato il premier che ha subito alzato la cornetta per informare il suo predecessore. All'inizio, raccontano, Conte era raggiante, quasi emozionato. «Mario, che piacere sentirti, non sai quanto sia felice per questa telefonata». Poi però, quando ha capito l'argomento vero del colloquio, ha dato in escandescenze. «No, non puoi farlo, ripensaci». Draghi non ci ha ripensato. «Nulla di personale, io questo Vecchione non lo conosco nemmeno. Ma la scelta è presa». E a questo punto la conversazione pare sia degenerata. Conte ha alzato sempre di più la voce mentre Draghi ha mantenuto il suo aplomb. «Una discussione lunga e tesa», riferiscono fonti del M5s, durante la quale «Giuseppe ha espresso il suo disappunto». E la telefonata non è finita bene.

Pazienza, si deve essere detto Draghi. Conte al contrario ha continuato a fumare di rabbia. «Io lo ho appoggiato insieme al movimento, gli ho aperto la strada», si è sfogato con i suoi. Infuriato per lo smacco, nero per aver subito, dopo il siluramento di Arcuri e Bonafede, un altro atto di discontinuità, di presa di distanze, che lo indebolisce nella maggioranza, nei rapporti con il Pd e nella sua battaglia per prendere la testa dei Cinque Stelle. In questa partita a guadagnare punti nella lotta interna ai grillini è stato infatti Di Maio. «Giuseppe aveva chiesto al suo successore garanzie sulla permanenza di Vecchione», dicono dal M5s. Supermario però ha respinto anche l'ultima pressione.

Amici mai, ma insomma finora le forme erano state seguite, le cordialità di rito tra il premier in carica e il premier precedente erano sempre state rispettate. Però si trattava di buone maniere di circostanza.

In realtà è da un annetto che Conte sente il fiato del drago sul collo, che subisce il suo peso e prestigio. «Ci ho parlato, mi ha detto che dopo tanti anni a Francoforte è stanco e vuole riposarsi», lo aveva esorcizzato parlando al meeting di Cernobbio. Infatti a riposo ci è finito lui.

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