Spenti i riflettori, sciolte le strette di mano e ammainati i sorrisi a favore di telecamere, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti sono rientrati a Roma da Berlino con una certezza: il percorso che porta alla riforma del Patto di stabilità è ancora tutto in salita. Un Mortirolo che non sarà facile da scollinare con la sola forza dei negoziati. E neppure facendo leva sull'ultima proposta della presidenza spagnola del Consiglio Ue, ancora divisiva nella parte relativa alla riduzione del disavanzo (almeno uno 0,5% del Pil) e del tutto incapace di formulare uno straccio d'ipotesi su quanto debito dovrà essere tagliato, causa lo iato profondo che separa i Paesi membri su quanta austerità dovrà essere imposta a ciascuno.
Dai corridoi di Palazzo Chigi filtra così un pessimismo saldato a un sano realismo: «Siamo ancora molto lontani da un accordo, al punto che un'intesa entro fine dicembre non è affatto scontata». Da rush finale per la messa a punto delle regole di bilancio quale doveva essere, a binario morto: questo rischia di diventare il tema dell'appuntamento all'Ecofin del prossimo 7-8 dicembre. Giorgetti ha avuto un colloquio cordiale con l'omologo tedesco, Christian Lindner, ma ha anche colto la determinazione con cui i tedeschi sono decisi a mantenere il punto sulle richieste fin qui avanzate, e fortemente restrittive, per rimettere in bolla i conti fuori registro di alcuni Paesi, a cominciare dal nostro. Ed è una determinazione resa ancor più granitica dalla decisione con cui lo stesso Lindner ha imposto, appena qualche giorno fa, il congelamento di quasi la totalità delle spese che figuravano nel bilancio 2023. Un atto d'imperio che ha polverizzato anche i 200 miliardi di euro necessari a stabilizzare l'economia e calmierare i prezzi di luce e gas fino al 31 marzo 2024. «Noi siamo pronti a fare sacrifici - la tesi del ministro liberale - perché gli altri non dovrebbero fare altrettanto?».
Si potrebbe obiettare che gli altri non si sono dilettati con magheggi contabili, poi smascherati dalla Corte costituzionale, per sostenere un'economia boccheggiante; né si sono proposti come i paladini delle tavole sacre di Maastricht. Il punto è altro: l'Italia non vuole lo scontro aperto con la Germania visti i reciproci interessi economici in gioco (per lo stesso motivo confida nel rapido recupero congiunturale dei tedeschi), ma al tempo stesso ritiene irricevibile l'idea di Berlino di abbattere il disavanzo dell'1% in rapporto al Pil. Un taglio che, grosso modo, peserebbe per una ventina di miliardi l'anno sui nostri conti e che, con la prospettiva dell'apertura nel 2024 di una procedura per deficit eccessivo, toglierebbe per anni ogni spazio di manovra a misure espansive. Peraltro, la bozza di Madrid non accoglie le richieste formulate anche dal governo italiano di scorporare dal calcolo le spese per gli interessi sul debito, lievitate in seguito ai rialzi Bce.
L'occhio di riguardo riservato dalla presidenza spagnola alle spese militari, non più fattore rilevante nella procedura d'infrazione, e l'aggiustamento di bilancio spalmato su quattro anni ed estensibile a cinque a fronte dell'attuazione di specifiche riforme non sembrano aver convinto la delegazione tricolore. Non riforme in cambio di flessibilità: per poter decidere, Roma chiede regole certe. Come dire: fissate i parametri, spetterà poi solo a noi decidere come rispettarli. Ovviamente devono essere sostenibili.
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