"Dopo il terremoto dell’Aquila realizzò l’unità nazionale"

Francesco Rutelli perse contro Berlusconi nelle Politiche 2001: "Mi mostrò un sondaggio e disse: ancora qualche giorno e mi raggiungevi"

"Dopo il terremoto dell’Aquila realizzò l’unità nazionale"

Prima di essere candidato premier del centrosinistra e leader della Margherita, lei è stato sindaco di Roma. E la sua candidatura al Campidoglio nel 1993 segnò il debutto in politica di Silvio Berlusconi: il suo primo annuncio fu la dichiarazione di voto pro-Fini e contro di lei. Come lo ricorda?

«Una sorpresa, anche se era nell’aria, con la preparazione segreta del partito di Berlusconi. L’occasione di Roma fu ghiotta, nella decomposizione dei vecchi partiti: con un giovane candidato radicale e ambientalista, e - dall’altra parte - Fini, ovvero la Destra italiana da sdoganare. Un’impresa notevole. Acrobatica, se pensiamo che Berlusconi riuscì a tenere insieme la Destra nazionale e centralista, e i leghisti che già parlavano di devolution. Era lui il garante. E proprio lì nacque la stagione di 20 anni di bipolarismo».

«Scesi in campo per impedire l’ascesa dei comunisti», dice oggi il Cavaliere. Lei all’epoca era schierato con i Progressisti di Occhetto. Quanto cambiò la storia recente d’Italia con quella decisione?

«Alla mia città andò bene: i nostri anni di governo furono positivi, mentre il mio amico Gianfranco Fini di tutto aveva voglia, meno che di fare l’amministratore. Quanto agli ex-comunisti, ne aveva quasi più lui... Il che peraltro mostrò la capacità di Berlusconi di allargare il proprio campo, e l’asimmetria fondamentale tra Ulivo e centrodestra: la sua era una coalizione basata su una leadership. La nostra una complicata coalizione di forze politiche, le cui esigenze condizionavano i molti galantuomini».

Nel 2001 lei fu il candidato premier del centrosinistra contro Berlusconi. L’impresa era giudicata disperata, ma riuscì a risalire rispetto alle previsioni. Cosa ricorda di quella campagna?

«Pochi giorni dopo le elezioni guidai la nostra delegazione all’incontro con chi le aveva vinte, ovvero Berlusconi. Mi prese da parte: “Non te lo meriti, perché sei stato aggressivo, ma questo sondaggio che ho in mano dice che con pochi giorni in più, avresti potuto vincere”. Partii da meno 11, e arrivammo a meno 1,4 di differenza nel voto maggioritario, con 16 milioni e 400mila voti. Però va ricordata la netta vittoria della triade Forza Italia-An-Lega nel proporzionale. La novità fu la Margherita, la vera anticipazione della nascita del Pd».

Per vent’anni la politica italiana è stata caratterizzata dalla dicotomia berlusconismo-antiberlusconismo. Col senno di poi, come valuta la linea della demonizzazione adottata dalla sinistra?

«Posso rispondere come feci, anni fa, alla domanda posta da Bill Clinton, nel suo ufficio di Harlem: “At the very end, che pensi di Berlusconi?”. Penso il contrario della vulgata, e cioè che un uomo d’impresa fosse sia un politico ingenuo, che un buon realizzatore. Io invece credo che sia stato un politico molto forte - non avrebbe retto 20 anni, e non avrebbe costretto le opposizioni ad unirsi, molte volte, “contro” di lui come principale fattore unificante - ma che il bilancio delle esperienze e riforme al governo (anche gli zig-zag nella giustizia) sia tutt’altro che positivo».

Col Berlusconi politico lei si è scontrato. I rapporti con l’uomo Berlusconi come sono stati? Lo ha conosciuto da imprenditore, quando era nel Partito radicale: come andarono le cose allora?

«L’apertura del pluralismo televisivo fu molto importante. E i radicali l’appoggiarono, giustamente. Il conflitto di interessi è esistito, anche se in Italia quasi sempre la politica vuole comandare l’informazione, pure se non la possiede. Che Italia sarebbe, senza pluralismo, anche senza La7 o Sky? E posso dirlo a maggior ragione oggi, avendo una moglie che ha lavorato con Rai, Corriere, Repubblica, Montanelli, La7 e che oggi, a Mediaset, fa il suo lavoro in piena libertà».

Può esistere un centrodestra senza Berlusconi? Come giudica la scelta di mettere in pista Parisi?

«È una scelta per proporre una persona equilibrata rispetto ai rischi di slittamenti autodistruttivi. Non è un caso se a Milano, con due candidati raziocinanti e una società attenta e partecipe, lo spazio per la demagogia politica si è molto ristretto».

Renzi come Berlusconi: c’è chi lo dice in senso positivo, come Giuliano Ferrara, e chi in senso negativo, come la sinistra. Che analogie e che differenze vede?

«Beh, il mondo dice che non fanno strada partiti senza leader che comunichino direttamente con gli elettori, cercando così di limitare l’effetto di logoramento che colpisce tutte le élite al potere. C’è un paradosso, che forse avvantaggia Renzi: lui decide di più da solo, e ascolta meno di Berlusconi... ».

Le cose migliori e le cose peggiori fatte da Berlusconi?

«Il momento di unità nazionale e commozione sincera davanti ai morti dell’Aquila. L’evidente distacco, disinteresse, addirittura sbandamento, degli ultimi tempi a Palazzo Chigi».

Un augurio di buon compleanno?

«Credo che gli avversari leali siano meglio di molti falsi amici.

E il mio augurio è sincero, come quello che nella stessa occasione degli 80 anni, Berlusconi venne a portare nel 2000 in Campidoglio ad Albertone. Sordi lo vedeva come un uomo del suo mondo, dello spettacolo e del rapporto popolare col pubblico. Gli auguro di non perdere questa dote».

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