I marittimi bloccati in Cina, Chico Forti, i nostri militari all'estero e un bacio sulla guancia dalla fidanzata a Capodanno. Luigi Di Maio ci mostra frammenti della sua vita e per il resto parla solo di Esteri, mentre là fuori Giuseppe Conte e Matteo Renzi incrociano le spade. E pensare che a lungo era stato accusato di snobbare i dossier del suo ministero perché troppo concentrato sulle faccende della politica interna. Anche Vito Crimi, ancora reggente del M5s, lascia perdere le minacce dei renziani e le repliche di Palazzo Chigi. E allora c'è il terremoto in Croazia, il Covid e il cordoglio sacrosanto per la morte in servizio di un Vigile Del Fuoco. Ma niente di niente sulla crisi nel governo. Eppure i Cinque Stelle si trovano in maggioranza non per una curiosa coincidenza. Sono il partito più rappresentato in Parlamento e il loro fondatore e nume tutelare, Beppe Grillo, ha voluto fortemente questo esecutivo con il Pd. Non solo. Conte, il premier camaleonte, prima gialloverde e poi giallorosso, è stato indicato proprio dal Movimento. Gli stessi grillini lo avevano scelto come ministro della Pubblica Amministrazione in un fanta-governo monocolore stellato. Lui infatti, il 4 marzo 2018, festeggiava l'exploit alle elezioni politiche di Di Maio e compagni tra abbracci e brindisi al quartier generale. Nulla da fare. I grillini restano alla finestra. Paralizzati dalle convulsioni della politica, impantanati in una serie di divisioni e partite interne che impediscono di prendere qualsivoglia posizione. Perfino Alessandro Di Battista si tiene alla larga dalle grane. Sui social si limita a condividere gli articoli che scrive per il sito Tpi. Tra una critica a Mario Draghi e un'invettiva contro i Benetton, Dibba comunque non si butta a pesce nella crisi di inizio anno. Muti i ministri e i capigruppo. Davide Casaleggio è assorbito dalle trattative per il «contratto di servizio» tra Rousseau e il M5s.
Un segnale di vita arriva da Roberto Fico, presidente della Camera. In un'intervista a La Stampa Fico non dismette i panni della terza carica dello Stato e avverte: «Una crisi sarebbe incomprensibile e disastrosa». Quindi rilancia «l'appello alla responsabilità e allo spirito costruttivo del presidente Mattarella». L'unica certezza nella babele grillina sembra proprio la fiducia nelle mosse del Quirinale. La scelta obbligata è votarsi a Mattarella. Di Maio fa sapere di volersi affidare con devozione al presidente della Repubblica in caso di crisi. Lontani i tempi in cui l'allora leader del M5s chiedeva l'impeachment per il capo dello Stato. Il riferimento al Quirinale, però, viene interpretato dalla fazione contiana dei Cinque Stelle come un modo per non prendere le difese di Palazzo Chigi nella contesa con Renzi. Insomma, Di Maio è preparato a ogni evento. Compreso un governo guidato da Mario Draghi. Il ministro degli Esteri ha incontrato l'ex presidente della Bce il 24 giugno scorso, scatenando già in quei giorni la ridda di sospetti nel M5s più vicino a Conte.
Il Movimento, spaccato tra contiani e dimaiani, è unito solo da un collante. L'urgenza di evitare come la peste il ritorno alle urne. Che vorrebbe dire seggi dimezzati e parlamentari in cerca di occupazione. Ma, soprattutto, le elezioni anticipate falcidierebbero un'intera classe dirigente, impossibilitata a ricandidarsi in virtù del limite del doppio mandato ancora in vita. Tutti a casa. Da Di Maio a Crimi a Bonafede. Nessuno di questi big dovrebbe candidarsi per l'organo collegiale che guiderà il M5s.
E molti parlamentari temono un'altra votazione farsa, con un pacchetto di nomi da convalidare su Rousseau con un plebiscito. L'obiettivo è mettere in sicurezza un M5s scosso dalle tensioni degli ultimi mesi. Anche se un Conte con le mani libere potrebbe sovvertire di nuovo gli equilibri interni.
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