C'è un dato incontrovertibile nella trattativa Unicredit-Mps. Se il Tesoro ha atteso che il gruppo guidato da Andrea Orcel si avvicinasse, come da tempo auspicato, all'istituto senese, è perché dalla Commissione Ue e dalla Bce non devono essere giunti segnali rassicuranti. Le autorità europee non intendono prorogare la scadenza del 31 dicembre 2021 per l'individuazione del partner destinato a rilevare il Monte dei Paschi entro i primi sei mesi del prossimo anno. E Unicredit, dopo che Intesa Sanpaolo ha acquisito Ubi Banca, è l'unica realtà con le spalle sufficientemente larghe per «digerire» le parti migliori di un complesso attanagliato da oltre un decennio da una crisi irreversibile.
Insomma, Via XX Settembre per uscire dalle secche in cui si è impelagato rilevando la maggioranza di Mps nel 2017, ha a disposizione poco più di quattro mesi. Ora la speranza del premier Draghi e del ministro dell'Economia Franco è che la politica non metta troppi bastoni tra le ruote dopo aver causato un dissesto gigantesco. La responsabilità soggettiva della crisi di Rocca Salimbeni è del Pd: ha avallato l'acquisizione sconsiderata per oltre 10 miliardi di euro di Antonveneta per evitare che il Monte diventasse preda di altre banche perdendone il controllo. E ha chiuso gli occhi sulla sottoscrizione scellerata di contratti derivati per garantire un minimo di dividendi alla Fondazione controllante, dissanguata dagli aumenti di capitale che hanno sostenuto la crescita. Ma c'è anche la responsabilità oggettiva di un'opposizione senese che non ha mai alzato troppo la voce.
Oggi la politica usa argomenti capziosi per modificare una situazione alla quale non esistono alternative praticabili, salvo voler perdere la faccia con il commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager, e il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. E così si utilizza il tema dei costi che comunque il Tesoro dovrà sopportare per agevolare Unicredit. Lo Stato, infatti, dovrà garantire la neutralità patrimoniale a Unicredit, cioè dovrà assicurare che il suo capitale non si deteriori in virtù dell'acquisizione. E questo significa confermare, come già fatto per legge, i crediti d'imposta sugli attivi (dta) per oltre 2 miliardi, ma anche una ricapitalizzazione di Mps per altri 2 miliardi di cui 1,5 a carico del socio pubblico. Allo stesso modo, se tutto andrà come previsto, lo Stato tramite Amco assorbirà oltre 4,4 miliardi (dopo gli 8 miliardi già assunti nel 2020) di non performing loans del Monte, scaricandolo (si vocifera di Fintecna) inoltre del contenzioso legale di 6,5 miliardi circa. L'operazione potrebbe anche effettuarsi con una scissione parziale di Mps a favore di Unicredit che ne acquisirebbe la parte in bonis lasciando la bad company allo Stato che, in cambio, diventerebbe socio di minoranza di Orcel & C.
Ecco, la politica dimentica che questi costi sarebbero, in ogni caso, stati imputati al Tesoro anche nella remota ipotesi in cui fosse rimasto socio di maggioranza. Certo, dopo aver speso già 5,4 miliardi nel 2017, il contribuente medio non può certo sorridere dinanzi a questa evenienza. Ma nel 2016 e nel 2017 ci fu una generale accettazione dell'intervento pubblico affinché non si ripetesse il caso delle quattro banche «risolte» (Etruria, Marche, CariFerrara e CariChieti) con gli obbligazionisti azzerati in piazza.
Tant'è vero che, giustamente, quasi nessuno ha protestato quando Intesa ha rilevato la parte in bonis di PopVicenza e Veneto Banca. E, peggio ancora, nessuno protesta quando la concessione «politica» del credito genera questi disastri. Lasciando a Draghi e a Franco soli quattro mesi.
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