«Della scuola di...», «riconducibile alla bottega del...», «attribuito a...». Periglioso è il sentiero che si inerpica sul crinale della, presunta, autenticità di un quadro. Se poi il dipinto è una tela «perduta» (da chi? quando? dove?) di Tiziano, le cose possono semplificarsi e complicarsi. Dipende dai punti di vista. Ma in occasione di un «clamoroso ritrovamento» - come nel caso dell'autoritratto «Gentiluomo con berretto nero», annunciato ieri con gran squilli di tromba - la cosa più importante è il «battage pubblicitario»: una tecnica collaudata di propaganda e reclamizzazione del «prodotto artistico-culturale» che, negli ultimi anni, ha visto illustri apripista in quei furbacchioni dei sovrintendenti per Pompei (in primis Massimo Osanna, dallo scorso anno sostituito da Gabriel Zuchtriegel). La strategia si basa sulla credulità e l'incompetenza dei media che abboccano all'amo (quello, appunto, della «scoperta straordinaria»), rilanciato acriticamente con l'illusione di aver messo a segno uno «scoop»; stesso meccanismo delle notizie di carattere scientifico su cui i giornalisti non hanno possibilità di verifica, dovendo fidarsi unicamente delle fonti «di parte». Ma qui rischiamo di uscire fuori tema. Torniamo quindi al nostro Tiziano «perduto e ritrovato»: «Un capolavoro restituito ieri allo Stato italiano per via giudiziaria» (e ti pareva che non ci fosse lo zampino della magistratura pure tra pennelli e tavolozze del Maestro del Rinascimento veneziano). La storia di questo autoritratto giovanile di Tiziano - che aveva la particolarità di bluffare sugli anni, attribuendosene però più di quelli che ne avesse in realtà (per spingere, giuravano le malelingue, i committenti a pagare i suoi servigi il più presto possibile) - è avvincente. Esultano insieme con il ministro della Cultura, Dario Franceschini (un altro specializzato in proclami a favore di telecamera) i carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Torino che hanno soffiato il Tiziano a due furbetti collezionisti svizzeri, traditi forse dalla loro brama di guadagno. Spiegano gli esperti: «Il ritratto raffigura un gentiluomo con la barba rossa e un berretto nero, realizzato secondo le tecniche rinascimentali e attribuito a Tiziano Vercellio».
Il dipinto - «stimato 7 milioni di euro» (meno di una briciola rispetto alle valutazioni delle opere, ad esempio, di Andy Warhol che in vita sua non ha mai impugnato un pennello) - era stato esportato illegalmente in Svizzera nei primi anni Duemila. Due cittadini svizzeri furono indagati, il primo per ricettazione e l'altro per violazione del codice sulla tutela dei beni artistici, ma i reati sono ormai prescritti.
La leggenda giudiziaria narra che «nonostante ciò, un pm torinese ha chiesto e ottenuto dal gip la confisca dell'opera, che i militari hanno preso in consegna nel 2020 a seguito di un'ispezione in un laboratorio di restauro nell'Astigiano». Uno dei due svizzeri ha spiegato di avere acquistato il quadro nel 2004 dal connazionale, ma la versione dei fatti «non convinse gli inquirenti». Di qui la «confisca» e la «restituzione» del ritratto all'Italia.
Ma ieri a Torino, insieme
con il buffet, c'era pure un plateau di dubbi. Ad esempio, a ben guardare, l'orecchio del «Gentiluomo» non sembra proprio dipinto dalla mano fatata di Tiziana. Ma, sul punto, meglio soprassedere. Guai a rovinare la festa.
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