«La Francia ce li rimanda indietro e la Slovenia fa altrettanto con la Croazia. Da noi invece è tutto fermo: abbiamo le mani legate». L'Italia si ritrova suo malgrado in un vicolo cieco, impossibilitata a respingere i migranti entrati illegalmente sul suo territorio. E stavolta a creare l'emblematico stallo non sono le farraginose politiche di Bruxelles sul tema immigrazione, ma alcuni pronunciamenti giudiziari di casa nostra. A testimoniare questo ostacolo sono gli uomini delle forze dell'ordine che operano alla frontiera di Trieste, lungo il confine attraversato dalla rotta balcanica. Il loro è un vero e proprio sfogo. «I francesi hanno annunciato ulteriori respingimenti verso l'Italia, noi invece le riammissioni verso la Slovenia non le facciamo praticamente più e questo perché un'ordinanza del tribunale di Roma le ha dichiarate illegittime», spiega al Giornale Lorenzo Tamaro, segretario provinciale del sindacato di polizia Sap a Trieste. Il riferimento è a un pronunciamento del tribunale ordinario di Roma, che nel 2021 aveva dichiarato illegittima la riammissione di un profugo pakistano dall'Italia verso la Slovenia. Il dispositivo portava la firma del giudice Silvia Albano, oggi componente del comitato direttivo centrale dell'Anm vicina a magistratura democratica. «Da quel momento si è bloccato tutto o quasi», racconta Tamaro, spiegando come adesso i respingimenti delle nostre autorità si siano ridotti ormai a poche decine. Intanto come attestano i numeri del dipartimento di polizia di Capodistria - gli sloveni rispediscono centinaia di profughi in Croazia, Paese da poco entrato nell'area Schengen. Il dettaglio non è trascurabile: stando alla denuncia dei poliziotti triestini, infatti, nella suddetta zona «senza frontiere» siamo gli unici a essere limitati nelle riammissioni dei profughi. A frenare ulteriormente queste procedure è stata anche una sentenza del 9 maggio scorso che aveva condannato il ministero dell'Interno a risarcire un richiedente asilo respinto dall'Italia alla Slovenia proprio con una riammissione. In questo caso a decidere era stato il giudice Damiana Colla, non nuova a pronunciamenti «pro migranti» e rimasta agli annali per aver considerato non diffamatori sei articoli che definivano l'ex premier Berlusconi «delinquente, terrorista, malavitoso». Secondo quanto ci riferiscono gli stessi poliziotti, inoltre, le già limitate riammissioni dall'Italia sono rese ancor più difficoltose da una certa riluttanza slovena nel riprendersi i profughi. «Per accettarli ci chiedono prove documentali del fatto che fossero già passati sul loro territorio. Ma visto che non hanno quasi mai i documenti con sé, dobbiamo cercare scontrini, biglietti dell'autobus o pacchetti di sigarette per dimostrarlo. E a volte nemmeno questo basta», ci viene raccontato. Così i nostri uomini già messi alla prova dalla consistenza del fenomeno migratorio e dalla gestione del suo conseguente impatto si ritrovano a svolgere anche queste incombenze.
E a evidenziare l'ulteriore paradosso, stavolta tutto interno all'Ue, è ancora il Sap di Trieste: «Perché a Lampedusa, che è luogo di primo ingresso in Europa, i nostri colleghi devono espletare le pratiche di riconoscimento, mentre questo non sempre avviene in Croazia? E perché i profughi della rotta balcanica chiedono lo status di rifugiati in Italia, che su quel fronte non è la prima nazione dell'area Schengen?».
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