Tommasi, "l'anima candida" abituata a rimanere nell'ombra

Da sindaco di Verona l'ex calciatore non potrà limitarsi a fare il mediano e a badare alla difesa

Tommasi, "l'anima candida" abituata a rimanere nell'ombra

5 0.118 voti. Praticamente più di tutto lo stadio Marcantonio Bentegodi che, compresi i posti in piedi, registra l'esaurito a 39.211 spettatori. Damiano Tommasi è il nuovo sindaco di Verona, città «che si basta» come lui sostiene e, invece, meriterebbe ben altro, in onore alla propria tradizione, alla propria storia, non quella calcistica ovviamente. Tommasi e i suoi capelli ricci, Damiano e la sua barba, figura evangelica e martire, Damiano e le sue rare parole, comunque pensanti, Damiano Tommasi centrocampista campione d'Italia con la Roma di Totti, poi emigrato in Spagna nel club del Levante e per darsi un tono anche un po' di football inglese con il Queens Park Rangers e per non farsi mancare proprio nulla ecco la Cina con il Tianjin Teda.

Amando il pallone, quello vero non milionario di debiti e prestiti, continua a dare calci con l'Unione Sportiva Sant' Anna d'Alfaedo che gioca in seconda categoria. Al contrario di numerosi dei suoi sodali calciatori, Tommasi non ha alcuna superstizione, essendo nato il giorno 17, di venerdì, nel 74, avendo poi vestito la maglia di gioco con quel numero e oggi offrendo a chi sa di vino, un Ripasso 17, perché il neo sindaco è anche titolare di un vigneto a Fumane, portato avanti dalla maestria e docenza di Pietro Zardini; agli atti risulta anche un Amarone «Anima Candida» che altro non è che il soprannome che nella maggica gli era stato incollato addosso dallo speaker giallorosso, Zampa Carlo. Damiano Tommasi non ha mai dimenticato le origini antiche e contadine, il nonno se ne andò all'età bellissima di novantanove anni dopo aver portato il nipote a tagliar legna e mettere su fascine, i genitori di Damiano erano tagliapietre, dunque niente caviale e champagne ma la vita vera, il senso del rispetto portato avanti anche con il mestiere di calciatore, affrontato con la stessa umiltà, non di parole ma di comportamenti, chierichetto nella chiesa di san Rocco a Vaggimal che è una frazione del Comune di Sant' Anna d'Alfaedo di cui sopra e poi a servir messa anche nel periodo romanista. Di lui Fabio Capello, allenatore dello scudetto giallorosso, disse: «È il più importante della squadra, più di Totti, Montella e Batistuta».

Come altri restò infortunato per un guaio serio ai muscoli ma, a differenza di altri, decise di ridursi lo stipendio a 1.500 euro, il minimo sindacale, per un anno intero. Non è che volesse rinunciare ai soldi per sempre, lo scudetto e la supercoppa romanista lo resero ricco ma trasformò il benessere personale nella felicità altrui, comprò una collina in Valpolicella (la valle della molte cantine), cento ettari di bosco, una dimora dell'Ottocento e una chiesetta del Quattrocento e le donò a una comunità locale.

L'Anima era davvero candida, raccoglieva le multe sue e dei compagni di squadra e con il totale fece costruire un campo di calcio in Kossovo, generoso e rispettoso assieme, sostenitore della battaglia per la donazione del midollo osseo, silenzioso e riflessivo, non proprio quello che la gggente pensa di un calciatore. Ma Damiano non ha mai cambiato umore e amore, si è battuto come presidente dell'assocalciatori, un sindacalismo non di potere ma di principio.

In un suo tweet si riassume la sua idea della vita e del lavoro: «Se uno sogna da solo è soltanto un sogno, se molti sognano insieme è l'inizio di una nuova realtà». Insieme con Chiara, la moglie, ha trasformato il sogno in sei figli, quattro le femmine e due i maschi.

Adesso incomincia una nuova partita, da capitano sindaco, dovrà continuare ad essere mediano e poi badare alla difesa, tentando anche qualche gol. Sembra tutto facile ma a forza di spaccare legna ha imparato l'arte della vita.

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