L'ex ministro «non ricorda». C'è Danilo Toninelli a Catania, per la seconda udienza preliminare sulla richiesta di rinvio a giudizio per Salvini sul caso Gregoretti, ma l'ex titolare del Mit sulla condivisione delle politiche sull'immigrazione nel governo gialloverde ha i ricordi un po' annebbiati. Inizia subito spiegando che il contratto di governo sull'immigrazione «non l'ho seguito io». E pure sul trattato di Dublino fa spallucce: «Non ricordo esattamente come volessimo modificare Dublino, e al ministero non me ne occupavo». E ancora «non ricorda» se delle proposte di modifica di quel trattato si parlava «nella stesura del contratto di governo», ma ricorda, aggiunge, che «non me ne ero occupato».
Sul caso della nave Diciotti ammette che sulla linea dura voluta da Salvini c'era «condivisione politica», ossia «di intenti», per provare ad «aprire il dibattito in sede europea», ma subito arriva il distinguo: «La responsabilità politica deve essere circostanziata da un atto formale in Consiglio dei ministri che non ci fu». E anche sul dibattito da riaprire, sulla redistribuzione dei migranti che sbarcavano sulle nostre coste, Toninelli svicola, «non sa»: «Non era competenza del mio ministero», spiega in aula, «per il ricollocamento insiste - non ebbi competenza». Le competenze «rognose», spiega il pentastellato, che pure uscendo dall'aula accusa Salvini di voler scaricare responsabilità su di lui, per Toninelli sono di altri. La sua, di competenza, spiega davanti al gup, «finiva quando la nave attraccava al molo», perché «c'è stata - aggiunge - divisione delle competenze tra chi salva la vita ai migranti (la Guardia costiera, che fa capo al Mit, ndr) e chi organizza l'ordine pubblico (il Viminale guidato da Salvini)». Alla Bongiorno che gli chiede chi e perché decise che il Pos (il Place of safety) per quella nave era Catania, Toninelli risponde «non compete a me, non lo decidevo io». Insomma, «portate pazienza», sintetizza l'ex ministro.
Che non ha sicurezze nemmeno quando la senatrice che difende Salvini gli chiede se era condivisa all'interno del governo la decisione di far scendere i migranti dalle navi che li avevano soccorsi solo dopo aver avuto la disponibilità alla redistribuzione con gli altri paesi Ue. «Che riguardi il sottoscritto no... nel contesto giuridico ognuno ha le sue responsabilità», abbozza Toninelli, e quando la Bongiorno lo incalza («Salvini decise da solo sul ritardare gli sbarchi o ne eravate a conoscenza?») riecco l'alzata di spalle: «Non ne ho contezza». L'ex titolare del Mit dice pure che dei decreti sicurezza «ricordo il principio», e «non ricorda di preciso» nemmeno quando il giudice gli mostra un divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane relativo alla Sea Watch 3 che portava anche la sua firma. Toninelli non ricorda nemmeno i suoi tanti comunicati ufficiali in cui parlava di redistribuzione dei migranti, tanto «io non ero - si giustifica - a nessun tavolo per discutere la redistribuzione».
Addirittura l'aver detto, in quei caldi giorni di agosto, in radio e sui social, «sono d'accordo con Salvini ad aspettare» (di redistribuire i migranti salvati in mare prima di farli sbarcare) oggi per Toninelli è banale «dibattito politico», anzi, «parole per aprire il dibattito». Politico e «non giuridico», infatti anche se lui twittava «non li faremo sbarcare finché la Ue non batte un colpo» (era il 29 gennaio 2019), alla sbarra ci sta Salvini, lui è qui come teste.
Persino il gup sobbalza: «Scusi senatore - gli chiede - ma l'indirizzo politico poi si deve concretizzare in azione politica. Posso pensare che lei non abbia mai dato un indirizzo? O non lo ricorda?». Toninelli, granitico, replica: «Non l'ho mai fatto».
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