Lode sia alla deliziosa ironia della senatrice Alessandra Gallone che ha trovato le parole giuste per dirlo, nell'aula di Palazzo Madama. «Essere Toninelli, oggi, non è una condizione semplice: lei non ha bisogno di detrattori, perché è il miglior detrattore di se stesso. Ogni giorno un italiano si sveglia e sa che entro sera arriverà una gaffe di Toninelli...».
Questo è il concetto base e non si può onestamente infierire sul riccioluto ministro delle Infrastrutture che, ieri, guardava l'aria ora inutilmente assorto, ora con il suo tipico sguardo da koala stupito. A tratti sorridente, come quando la Gallone, per chiudere il brillante discorso che illustrava la mozione di sfiducia individuale presentata da Forza Italia (un'altra quasi identica era del Pd), attraversava l'emiciclo per consegnargli uno dei cartelli innalzati nel frattempo dagli azzurri con su scritto: «Toninelli lo facciamo per te».
Nel frattempo però, dopo l'interruzione d'ordine decretata dalla presidente Casellati, era chiaro che i colleghi ministri leghisti non si curavano altrettanto premurosamente della sagoma del ministro grillino, lasciato solo a perorare la sua causa disperata. E non solo i ministri, perché nel contraccambio peccaminoso tra salvezza di Salvini nel «caso Diciotti» e di Toninelli per il suo «essere Toninelli», la maggioranza finiva per liquefarsi. Cinque leghisti non se la sentivano di appoggiare il ministro, mentre il grillino espulso Gregorio De Falco dava la mazzata finale: non tanto annunciando il suo «sì» alla sfiducia, bensì rivelando che anche molti grillini «pensano che il ministro non sia all'altezza». Alla fine, perciò, i voti di maggioranza contrari alle due mozioni (157 e 159) rendevano evidente che, Tav o non Tav, sassolini sempre più grossi precipitano lungo la scarpata e presto (forse già dopo le Europee) la frana potrebbe verificarsi. Questo nonostante i dissidenti 5s si fossero pronunciati per la difesa a oltranza di Toninelli. Al quale, va detto, probabilmente sarà nuociuto non soltanto quanto ha fatto ma soprattutto il «detto». Ovvero un'autodifesa che concedeva molte conferme a quanto dichiarato dalla Gallone e dai capigruppo di Fi e Pd, Annamaria Bernini e Andrea Marcucci (protagonista di un aspro battibecco con la Casellati). Il punto forte del ministro era la difesa del pasticcio-Tav: «Il contratto di governo prevede di ridiscutere integralmente il progetto... Bisogna uscire dalla sterile polemica e considerare la sproporzione dell'impegno finanziario tra Italia e Francia fissata dai governi precedenti, che è stato assunto contro l'interesse nazionale...». In un discorso sconclusionato, Toninelli finiva per rivendicare anche il «calo di migranti morti nel Mediterraneo» e persino «la notizia di una importantissima misura che porterà a breve un risparmio in termini di tempo e denaro per tutti i cittadini: ossia la portabilità della targa quando si cambia auto... Ne vado fiero». Gli attacchi alla sua persona, accusava infine, «sono tutti casualmente partiti quando abbiamo messo in discussione il sistema delle concessioni autostradali».
Alla seduta non mancavano momenti di tensione, con un parapiglia tra il grillino Airola e il forzista Giro: il primo urlava «bunga bunga», il secondo rispondeva con il gesto delle manette.
Ma il dato finale restava quello di una piccola vittoria di un piccolo governo che traballa e blinda il suo ministro-simbolo. «Conte venga a verificare: il suo governo non ha più la maggioranza», dicevano all'unisono Marcucci e la Bernini. Non ha i numeri, proprio come Toninelli.
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