Che al «Beccaria» le violenze fossero all'ordine del giorno, a quanto pare era risaputo, tra i detenuti. «Voglio dire che ai maggiorenni fuori non succedono le cose che succedono ai minorenni, dove ti picchiano in cella, entrano senza motivo. Ma ti picchiano proprio», dirà uno di loro, una volta fuori da quell'«inferno», a istituzioni che hanno finalmente avuto orecchie per ascoltarli. Una verità che desta il «massimo sconforto», per dirla con il procuratore Marcello Viola. E anche se viene precisato che l'indagine è stata condotta «con la massima collaborazione» della squadra mobile e della stessa polizia penitenziaria - e il direttore, come emerge dall'ordinanza, è parte proattiva dell'inchiesta - resta innegabile che si tratti di una «vicenda dolorosa, di una brutta pagina per le istituzioni».
Tredici agenti, su una cinquantina in servizio in totale al carcere minorile Beccaria di Milano, sono finiti in carcere. Tra le accuse, oltre ai maltrattamenti e alle lesioni, c'è anche la tortura, tutti reati aggravati. Uno di loro risponde anche di tentata violenza sessuale, per avere molestato un ragazzo mentre dormiva nella sua cella. Altri otto sono stati sospesi dal servizio.
La cruda realtà descritta dalla gip Stefania Donadeo sono spedizioni punitive da sei-sette contro uno, e anche veri propri pestaggi, ma che per gli autori erano semplici «schiaffi paterni» (ammesso che l'educazione paterna passi, davvero, dagli schiaffi), detenuti colpiti sul volto o sui genitali, in un caso avrebbero persino lasciato il segno dell'anfibio sul viso di uno di essi, messi in isolamento e lasciati a dormire, per giorni, senza materasso, né cuscino o lenzuola.
Per i detenuti era una situazione abituale, al punto che alcuni di loro avevano escogitato dei metodi rocamboleschi per sfuggire alle mani dei loro aguzzini: bagnare il pavimento per guadagnare qualche metro durante le fughe, ricoprirsi il corpo di acqua e sapone per impedire la presa salda di uomini forti, col doppio dei loro anni. Quando capivano poi che gli agenti si preoccupavano di non lasciare segni, i ragazzi si davano dei pizzicotti apposta, per lasciarsi qualche traccia sul corpo. E però queste soluzioni, verrebbe dire da ragazzini (quali erano), non servivano poi a molto. E al di là del fatto che sembra che davvero nessuno per lungo tempo li abbia ascoltati (uno di loro, si legge ancora, si sfogò persino con il suo avvocato, che però gli consigliò di non denunciare), sono davvero troppi gli episodi raccolti in due anni di indagini, in quel luogo destinato, sulla carta, non solo alla punizione ma soprattutto alla rieducazione.
Come hanno spiegato le pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, assieme alla procuratrice aggiunta Maria Letizia Mannella, quando i detenuti non subivano direttamente le violenze, sentivano quello che succedeva agli altri, con immensa «angoscia», per via delle urla provenienti da un ufficio e da celle senza telecamere nelle quali venivano trascinati apposta.
L'inchiesta è nata dalle segnalazioni del Garante dei diritti dei detenuti Francesco Maisto, di psicologi e di madri di detenuti. Sempre Viola ha sottolineato che bisogna investire nella formazione degli agenti.
Stessa considerazione che arriva dallo storico cappellano don Gino Rigoldi, che ha parlato di «bassissima formazione» e di carcere «sotto organico». Per il sindaco di Milano Giuseppe Sala il Beccaria «è stato abbandonato per anni e anni, senza una direzione». Ecco le conseguenze.
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