Traffico di influenze. Il filo di Arianna e i pm

Le trappole di una norma

Traffico di influenze. Il filo di Arianna e i pm
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Introdotto nel 2012, il traffico di influenze illecite intendeva colmare una lacuna punitiva rispetto a condotte meramente prodromiche del delitto di corruzione vero e proprio, ma valutate comunque lesive del buon andamento della cosa pubblica. La repressione mirava all'attività dei faccendieri, coloro che - remunerati - si muovono per influenzare i governanti, creare contatti tra soggetti e ambienti estranei, orientare l'adozione degli atti pubblici: lo scopo dei primi è lucrare vantaggi illeciti per la propria, favorita clientela. Nella versione originaria, il reato sanzionava colui che, sfruttando relazioni esistenti con un funzionario pubblico, indebitamente fa dare a sè o ad altri denaro - o altra utilità - come prezzo della sua mediazione illecita verso il suddetto agente; e inoltre chi, utilizzando le stesse relazioni, indebitamente fa dare a sè o ad altri denaro al fine di remunerare il pubblico ufficiale per una condotta contraria ai suoi doveri di ufficio.

Importante: una norma penale deve essere tassativa, cioè descrivere con chiarezza e assoluta precisione quali sono i comportamenti incriminabili; lo esige la Costituzione, perché i cittadini siano in grado di conoscere, in anticipo e con certezza, le conseguenze delle loro azioni. Incuranti di questa regola aurea i grillini (nel 2019) imposero la riscrittura di quel reato, dilatandone ulteriormente i già incerti confini di applicabilità.

Conscio dei rischi creati dalla seconda versione, il ministro Nordio cerca di perimetrarne il precetto (approdiamo così alla terza scrittura in dodici anni). Nel nuovo testo (agosto 2024), le relazioni del faccendiere con il pubblico ufficiale devono essere realmente esistenti (il delitto di millantato credito viene quindi abolito). Inoltre, la contropartita dell'utilità data - o promessa - al mediatore dovrà essere schiettamente «economica» (e non di altra natura). Infine, si puntualizza il significato di mediazione illecita: è quella che mira a far sì che i pubblici ufficiali compiano «un atto contrario ai doveri d'ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito».

Si vocifera, adombrando ipotesi di reato, che il coordinatore della segreteria politica del partito di maggioranza (Arianna Meloni) - di cui è capo il premier (Giorgia) - abbia partecipato a riunioni per trovare accordi sulle nomine dei CdA della Rai (che è scelto dal parlamento e dal governo), e delle ferrovie dello Stato (esse spettano all'esecutivo). Decisioni governative oggetto, stando ai contemporanei monatti, di traffici di influenze illecite; Meloni A. dirige la segreteria di FdI; in quanto leader del partito, Meloni G. venne eletta in parlamento e poi nominata capo del governo che, a sua volta, è competente a scegliere i vertici dei due enti pubblici. Dove sarebbe il reato?

Non ci si stupisca se, come per l'abuso d'ufficio e la turbativa di gara, il traffico di influenze illecite verrà interpretato in maniera ultronea rispetto al suo significato. Il problema non si annida (solo) nella norma, ma in chi la applica, cioè i pm. Ingenuo confidare che basterà la separazione delle carriere della magistratura per uscire dal labirinto mediatico-giudiziario.

Si guardi piuttosto a Spagna e Germania, dove il pm è nulla più che un funzionario, non spartisce alcunché con i giudici, non ha un Csm di riferimento, risponde gerarchicamente del suo operato a un vertice, giudiziario o politico che sia. Arianna, con il suo caso, ci porge un filo. Seguiamolo.

*Ordinario di Procedura penale nell'Università di Brescia

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