Tragicommedia gialloverde Il governo deraglia sulla Tav

I sottosegretari leghista e grillino danno indicazioni di voto opposte e le opposizioni attaccano: ora è crisi

Tragicommedia gialloverde Il governo deraglia sulla Tav

Più che una «questione politica», come dirà poi il capogruppo della Lega Romeo, nel governo sembra essere ormai conclamata una questione psichiatrica. Che ieri è culminata nella surreale scena, mai vista in alcun Parlamento del mondo, di due membri dell'esecutivo che si danno sulla voce per esprimere - sempre a nome del gabinetto Conte - pareri opposti sulle mozioni.

Alla fine di una giornata di panico nel Palazzo e minacce di fine del mondo della Lega, sul terreno resta apparentemente una sola vittima predestinata del mini-rimpastino: il giulivo ministro Danilo Toninelli, il cui scalpo verrà esibito in spiaggia da Salvini come simbolo di epocali vittorie.

Al Senato il tormentone Tav si conclude come prevedibile: mozione No Tav dei grillini bocciata con 110 sì e 181 no, mozioni pro Tav di Pd, Fi, Bonino approvate con numeri invertiti, e con i voti della Lega. La maggioranza si divide platealmente, Salvini esibisce esultanza e fa subito partire il tam tam della crisi (o del rimpastino); Di Maio, verdolino in volto, si dilegua camminando rasente i muri; il capro espiatorio Toninelli medita a testa bassa sulla caducità delle umane glorie. In mattinata aveva definito Salvini «un nano sulle spalle di giganti che lavorano». Il gigante sarebbe lui. Intanto il premier Conte, barricato dentro Palazzo Chigi, manda i suoi in giro a dire che lui non c'entra niente con il voto in Senato e con la Tav e a giurare, dal Colle in giù, che non ci sarà nessuna crisi.

La tragicommedia inizia di buon mattino a Palazzo Madama. Aula assonata e semivuota, ogni gruppo illustra la sua mozione, pochi e sparuti sottosegretari sul banco del governo. Poi l'atmosfera si scalda, scendono in campo i pezzi da novanta, Salvini e Di Maio in testa, e verso l'ora di pranzo si arriva al cabaret.

Prima l'intervento del grillino Airola, fervente No Tav, che per documentare la dannosità dell'opera inizia a leggere cifre ma si confonde e le dà tutte sbagliate, mentre alle sue spalle alcune colleghe si coprono il volto. Poi, secondo liturgia, la presidente di turno del Senato chiede al governo di esprimere il proprio parere sulle diverse mozioni. E a quel punto si entra nella fantapolitica: dal banco dell'esecutivo si alzano due sottosegretari, il leghista Garavaglia e il pentastellato Santangelo. Il primo fa: «La posizione della Lega è nota, invitiamo a votare a favore della Tav e contro chi blocca il Paese». Il secondo si guarda smarrito intorno, poi ansima: «Il governo si rimette all'aula». Le opposizioni ridono e gridano. Il capogruppo leghista Romeo, su indicazione del capo, lancia il guanto di sfida: «C'è una questione politica aperta - tuona - Oggi chi vota no alla Tav si prenderà la responsabilità politica delle scelte che saranno prese nei prossimi giorni». Poi, più prudentemente, aggiunge: «O nei prossimi mesi». Il capogruppo dei grillini, Patuanelli, gli replica arrampicandosi sugli specchi per negare ogni conseguenza pericolosa: «Questa è una repubblica parlamentare e non un premierato, si fa un dibattito politico tra due forze politiche che sostengono il governo, senza per questo mettere in mezzo il governo», argomenta. Poi prova a buttarla sull'«inciucio» Lega-Pd per «dare i soldi a Macron».

Dalle opposizioni infieriscono: «La maggioranza non c'è più, Conte salga al Colle», dice il segretario del Pd Zingaretti. «Il voto sulla Tav ha sancito la fine politica del governo, si prenda atto della crisi», ribadisce da Fi la capogruppo Anna Maria Bernini. Ma non sembra aria.

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