Dev'esserci qualcosa di misterioso che accomuna quella provincia d'Italia che prima o dopo ha subìto profonde ferite sulla pelle della comunità. Un'eterna lotta tra pudore e curiosità che avvolge i paesini diventati luoghi del delitto. Silenzio in strada e chiacchiericcio sottovoce. Sguardi fugaci e finta indifferenza. Tutto si sviluppa in una dicotomia. Anche Terno d'Isola - paese del Nord troppo animato per essere l'ultima settimana di agosto - è un frullato di sentimenti contrastanti.
Eccola via Castegnate, diventata l'epicentro della cronaca nazionale e internazionale, l'arteria tanto evocata per raccontare il giallo dell'estate. Una via come un'altra, piena di villette ben curate e di condomini. Il suo procedere è scandito da decine di tombini aperti e sviscerati alla ricerca dell'arma del delitto. Li si nota perché il fango nel quale si sperava si nascondesse quel coltello è rimasto a cuocere sull'asfalto, in prossimità di ognuno di essi. Una ricerca disperata che finora non ha dato esiti. Lungo via Castegnate si riesce quasi a immaginarla, quella passeggiata di 50 minuti fatta da Sharon nel silenzio comunque rassicurante del proprio quartiere.
Un mese dopo, invece, sono i rumori che arrivano dalle case a descrivere un microcosmo sociale in bilico tra ricerca della normalità e legittime angosce: «È pronto», dice una donna mentre un attimo dopo cade una posata, poco più in là parte un aspirapolvere. Da un appartamento, invece, si sente l'annuncio del telegiornale: sta passando proprio il servizio sull'omicidio di Sharon Verzeni.
Per sapere di più di ciò che è accaduto sotto casa propria si guarda la tv. Qualcun altro, invece, riesce persino a mangiare sul balcone con vista luogo del delitto - nonostante il continuo via vai di giornalisti, nonostante i tanti che continuano ad arrivare per un momento di cordoglio. Quel fazzoletto di cemento e asfalto sul quale Sharon si è accasciata inerme continua a essere meta di pellegrinaggio: ogni giorno sulla rete a bordo strada compaiono fiori, crocefissi, post-it, mentre a terra vengono posati cerini, pensieri e rosari.
La scena si ripete ad intervalli regolari: questa volta sono madre e figlia, che si fermano davanti all'altarino e lo fissano. Qualche parola scambiata sottovoce, poi si fanno il segno della croce e vanno via. «Passiamo qui davanti quasi ogni giorno dal primo agosto - racconta la mamma -, è il nostro modo per sperare che prendano l'assassino». Neppure una giornata concitata come quella di ieri è riuscita a fermare la necessità di condividere il dolore. Nel giorno uno di chiusura delle strade «senza preavviso» via Castegnate è stata infatti letteralmente accerchiata da metal detector e torce. Il paese è un pullulare di transenne e di divieti d'accesso, mentre il furgone della nettezza urbana fa la spola per ripulire le strade della terra riemersa dai tombini. I curiosi ci sono sempre - in ogni nucleo urbano che si rispetti - e allora all'ombra degli alberi si osservano le operazioni di ricerca nel sistema fognario con attenzione negli occhi e nella postura. Dopo ore di stazionamento di carabinieri e vigili, di vie chiuse e di circo mediatico un'anziana scende di casa e resta per qualche interminabile minuto ferma a fissare il contesto anomalo. Il linguaggio del corpo è una radiografia: i piedi piantati sull'asfalto e le braccia appoggiate alle anche, ma il corpo è rivolto tutto verso l'ingresso, pronto a sgattaiolare via.
La curiosità qui non è morbosa, quella appartiene ai forestieri. A Terno d'Isola la conoscenza dei fatti è una necessità, pare questione di sopravvivenza. «Il killer è uno del paese? Questo ci chiediamo tutti», dice lei mentre ogni ruga del viso esprime preoccupazione.
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