La "traversata nel deserto" come il Cav

Anche Trump è risorto dopo sconfitte e persecuzioni. Le differenze con Berlusconi

La "traversata nel deserto" come il Cav
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Ero a Palazzo di giustizia di Milano quel 13 dicembre 1994. Il Pool Mani pulite interrogava Silvio Berlusconi e di fatto decretava la morte di quel governo. Ricordo i sorrisetti ironici e di compatimento di alti magistrati e illustri cronisti che con un telegramma di due parole spedivano in archivio quell'anomalia tutta italiana: «È finito». Berlusconi si dimise in effetti il 17 gennaio 1995 e per molti quella fu la pietra tombale sulla sua imprevedibile discesa in campo.

Non eravamo alla Casa Bianca quattro anni fa, ma la sensazione che trasmettevano gli opinion maker era la stessa: quelli, pur con lo strappo terribile dell'irruzione a Capitol Hill, erano i titoli di coda di quell'anomalia tutta americana chiamata Donald Trump.

Nella storia plurisecolare degli Usa era accaduto soltanto una volta, alla fine dell'Ottocento con Cleveland, che un presidente ricoprisse due mandati non consecutivi.

Di qua e di là dell'Oceano due storie parallele. Due viaggi a ritroso come, fatti i debiti paragoni, nell'epica omerica. Sfidando venti contrari fortissimi che in precedenza avevano spazzato via chiunque ci avesse provato. La magistratura, all'assalto di Trump e in guerra perenne con il Cavaliere, le star di Hollywood e i divi di Cinecittà, i grandi giornali e le tv, gli intellettuali e i loro appelli in formato lenzuolo, attrici imbandierate e vedove inconsolabili di epoche lontane colme di un imprecisato benessere, la sinistra della Ztl e quella rinchiusa nei grattacieli scintillanti di Manhattan, quella green nostrana e la sua omologa ultraliberal californiana.

Tutti contro. A torto o a ragione. Tutti pronti a salire sul pulpito dell'indignazione per decretare la fine di queste esperienze, tutti regolarmente smentiti dai fatti.

Ce l'aveva fatta Berlusconi nel 2001 dopo la «traversata nel deserto», ce l'ha fatta Trump nel 2024. Imprese quasi impossibili sulla carta, imprese riuscite a due outsider estranei all'establishment. Non ortodossi e sempre pronti a sparigliare. Se Berlusconi era considerato una sciagura in patria, Trump è ritenuto una iattura a livello mondiale. Se il Cavaliere era inquisito in grappoli di processi, Trump al confronto è una specie di Al Capone e viaggia dentro una nuvola di procedimenti che riempiono mezzo codice penale.

E però il fondatore di Forza Italia può vantare di essere indagato anche da morto per una vicenda grottesca in cui è sospettato di essere addirittura il mandante esterno delle stragi del '93.

Attenzione, le similitudini non cancellano le differenze nel contesto e nella personalità. I due non si amavano e il tratto di Trump è ruvido tanto quanto quello del Cavaliere al confronto appare morbido e felpato. Trump deride e irride gli avversari con parole e gesti grossolani, lontanissimi dal galateo. Il Cavaliere era capace di rompere l'etichetta e di tenere una requisitoria contro i comunisti ma non infrangeva le regole del rispetto. E, insomma, dietro di lui si intravedevano talvolta le leggendarie zie suore, dal numero oscillante, dietro Trump si scorge la ieraticità solitaria di certa cultura di matrice protestante.

Berlusconi, quando nel 2011 arrivò la lettera della Bce, si fece da parte, come gli aveva suggerito in un drammatico colloquio l'amico Ennio Doris, per il bene del Paese. Trump, poco meno di quattro anni fa, sobillò i barbari fin dentro i saloni del potere e della democrazia.

Ma ora Donald ha la maggioranza assoluta alla Camera e al Senato che Silvio non aveva mai ottenuto; lui aveva, come ripeteva spesso, i Follini, i Fini, i Casini, che gli tagliavano la strada delle riforme. Ma quella è un'altra storia e gli Usa non sono l'Italia.

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