L'unico invitato «esterno» è il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti. Al vertice «politico», che per la prima volta non si svolge a Palazzo Chigi ma nella residenza privata di Giorgia Meloni (location tenuta segreta per motivi di sicurezza), sono ammessi solo i leader del centrodestra. Fuori i capigruppo. La novità è Maurizio Lupi, capo di Noi Moderati, che fa il suo esordio nella stanza dei bottoni nelle riunioni che «contano». In passato gli incontri politici importanti erano riservati ai tre moschettieri: Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini. Lupi c'è perché fa parte dei dossier da chiudere nelle prossime settimane: il leader centrista punta a una poltrona da ministro in un eventuale mini-rimpasto. Tre ore di confronto, per stendere sul tavolo tutti i nodi politici. Meloni non rinuncia alla domenica con la figlia Ginevra e convoca gli alleati a casa. Oltre Giorgetti, Lupi, Meloni e Tajani, al vertice di Palazzo Chigi ci sono due «presenze» ulteriori: Roberto Vannacci e Luca Zaia. Vedremo perché. Il generale e il governatore del Veneto sono due spine nel fianco del centrodestra. A volere il chiarimento, prima del Cdm e dopo il turno delle regionali, è stata la premier Giorgia Meloni di rientro dal G20 in Brasile. Il menù del vertice è abbastanza corposo: manovra, nomine, mini-rimpasto, autonomia, elezione dei giudici della Corte Costituzionale, stallo in Rai e regionali. Sul tavolo però c'è un punto che Meloni mette agli atti e su cui non intende più cedere: stop al clima di campagna elettorale permanente. Il messaggio è soprattutto per Matteo Salvini, leader della Lega e vicepresidente del Consiglio. Ma la capa di Fdi parla a suocera (Salvini) perché nuora (Antonio Tajani) intenda. Anche Fi deve allentare la presa su pensioni e separazione delle carriere. La premier chiede «responsabilità». Fa capire di «non gradire più blitz sulla manovra» con emendamenti non concordati. Al vertice, dicevamo, partecipano virtualmente due spettatori interessati. Il primo è il generale Roberto Vannacci. L'ombra dell'europarlamentare leghista si aggira a casa della premier. Le manovre di Vannacci preoccupano Meloni e Salvini. E per un motivo molto semplice quanto banale: un pezzo di Fratelli d'Italia condivide le idee del generale. Parliamo di Russia? Ecco che uno spicchio della base meloniana non ne può più del sostegno incondizionato a Zelensky. Se si passa alla comunità leghista, il discorso è identico sul conflitto in Medio Oriente. L'appoggio di Salvini a Netanyahu rischia trasferire voti leghisti al movimento di Vannacci. E per questo che Meloni, ai leader della coalizione, chiede di essere compatti, «uniti come una testuggine» nella difesa della linea su Kiev e Israele. «Aprire un varco, una discussione», è il ragionamento della premier, «sarebbe un assist a movimenti come quelli di Vannacci di inserirsi e succhiare consensi». L'altro spettatore «interessato» è Luca Zaia. La Lega ha rimesso sul tavolo l'ipotesi di un terzo mandato per il presidente del Veneto. Meloni non arretra. Ma concede alla Lega l'opzione di un accordo generale sulle regioni al voto nel 2025. E dunque il Veneto potrebbe anche finire a un candidato leghista (non Zaia). È questo il punto di caduta. Il tema centrale del vertice resta l'accordo sulla manovra. Meloni lascia la scena a Giorgetti che con numeri e tabelle stoppa le richieste di Lega sulla riduzione del canone Rai e di Forza Italia sui ritocchi alle pensioni minime. Il colloquio scivola poi sul mini rimpasto, c'è da sostituire Raffaele Fitto.
E infine, va chiusa la partita sulla Corte Costituzionale prima della maratona parlamentare per il via libera alla manovra. Al termine della riunione i tre leader (Lupi, Salvini e Tajani) lasciano l'abitazione della premier senza fare dichiarazioni. L'unico commento è affidato a una nota di rito di Palazzo Chigi.
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