E adesso? La sentenza del Tar che ha «liberalizzato» il Festival di Sanremo ha scatenato il prevedibile putiferio di reazioni, indignazioni, applausi. Dal prossimo anno (per l'edizione 2026) non è più scontato che la Rai sia l'organizzatrice dell'evento e il Comune di Sanremo dovrà fare una gara per l'affidamento del Festival. Come sempre, noi eterni guelfi e ghibellini ci siamo schierati. Sì giusto, era ora. No, che errore. Ieri uno dei giganti storici del Festival, ossia Al Bano, che era a Zagabria dalla figlia Cristel, ha parlato da artista dicendo che «l'importante è che resista Sanremo», aggiungendo però che «le grandi istituzioni italiane sembrano sempre più in vendita». Vedremo.
Senza dubbio, il Festival di Sanremo rappresenta per la tv pubblica una voce decisiva di bilancio. Per capirci, nel 2024 gli incassi pubblicitari sono stati di 60,2 milioni di euro (dieci milioni in più dell'anno prima) a fronte di un monte complessivo di incassi pubblicitari annuali di 529 milioni di euro. Quindi Sanremo rappresenta più di un decimo dell'intera raccolta di Viale Mazzini, un patrimonio vitale per l'azienda di stato. Ma come stanno davvero le cose? Al di là del fatto che Carlo Conti è stato incaricato di condurre il Festival anche nel 2026, il possibile scenario oggi è sterminato. La Rai potrebbe vincere di nuovo e quindi rimarrebbe tutto come prima. In questa ottica, Walter Vacchino, proprietario dell'Ariston, ieri ha mostrato una intuizione che potrebbe avere risvolti vincenti: «Dal momento che tra Rai e Sanremo si tratta di un sodalizio che va avanti da settantacinque ann, forse deve solo cambiare forma. E invece di essere un sodalizio convenzionatorio, potrebbe essere il sodalizio di una società che abbia un presente e un futuro». In tal caso, il problema sarebbe probabilmente superato.
Se invece la Rai perdesse l'evento che organizza dagli anni Cinquanta, potrebbe togliere dal nome del format la parola Sanremo e organizzare il «Festival della Canzone Italiana» in qualsiasi altra città, magari riducendo anche drasticamente i costi. Dopotutto, e forse non è così chiaro a chi tifa per l'uscita della tv di Stato, la convenzione tra Rai e Comune di Sanremo non comprende soltanto le cinque giornate del Festival ma tutta una serie di eventi collaterali che si «spalmano» su tutto l'anno nell'aerea sanremese. E attenzione, non sono soltanto eventi musicali. È difficile che altri «competitor» possano garantire la stessa copertura ed è altrettanto complicato che il Comune possa rinunciarci a cuor sereno senza accusare scompensi in bilancio.
In queste ore si parla dell'ipotesi che Discovery possa partecipare attivamente all'asta per Sanremo. Dopotutto, nel rooster di Discovery c'è Amadeus, che di festival se ne intende. Ma non c'è solo lui, c'è pure Fabio Fazio, che l'ha condotto ben quattro volte. Molto meno probabile, almeno sulla carta e almeno stando ai rumors, che Sanremo interessi anche a Mediaset oppure a La7, tantomeno a Sky. Fin qui lo scenario possibile. Ma c'è anche altro. Ed è l'effetto collettivo, sociale, oltre che musicale.
Sanremo e le sue canzoni sono per definizione popolari proprio perché arrivano a una platea sterminata non soltanto per quantità ma pure per trasversalità delle fasce anagrafiche. Tutti cantano Sanremo dice uno degli slogan più popolari del Festival. Difficile che valga se a trasmetterlo non sarà la Rai e, tutto sommato, conviene a tutti che tutti cantino Sanremo.
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