Anche se le bandiere che sventolano sopra l'ingresso di Palazzo Chigi non sono più a mezz'asta, nel primo Consiglio dei ministri del dopo Berlusconi la sua presenza aleggia forte. Non solo perché il ricordo dei funerali di Stato in Duomo è ancora ben impresso negli occhi dei presenti, ma anche perché il governo ha come principale punto in agenda un pezzo di quella riforma della giustizia che per anni è stato uno dei principali cavalli di battaglia del Cavaliere. Che con il potere giudiziario - e una procura della Repubblica in particolare - ha sempre avuto un rapporto piuttosto conflittuale. Non è affatto un dettaglio, anzi è uno dei principali snodi da tener presente soprattutto oggi, che politici, opinionisti e commentatori sono tutti presi a storicizzare il trentennio berlusconiano. Una valutazione che non può prescindere non solo da quanto accadde nel 1992 con Mani pulite, ma soprattutto dalla caduta nel 1994 del suo primo governo, provocata dalla procura di Milano con l'ormai ben nota storia dell'avviso di garanzia a mezzo stampa durante la conferenza internazionale sulla criminalità organizzata a Napoli.
È dunque significativo - forse persino simbolico - che il primo Consiglio dei ministri dell'era post Berlusconi abbia come principale punto all'ordine del giorno un disegno di legge di otto articoli che, dice Carlo Nordio, è «un tributo» alla «battaglia» del Cavaliere. Con il «rammarico», aggiunge il Guardasigilli, che Berlusconi non potrà «assistere» al «primo passo» verso quella «riforma radicale della giustizia in senso garantista» che «lui ha sempre auspicato». Il provvedimento, infatti, prevede l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio, una stretta sulle intercettazioni e l'impossibilità per il pubblico ministero di impugnare le sentenze di assoluzione per i reati meno gravi. Tutti punti su cui il Cavaliere si è sempre battuto con forza.
In chiusura del Consiglio dei ministri, peraltro, prima Antonio Tajani e poi Giorgia Meloni hanno voluto ricordare Berlusconi, l'uomo che «più a lungo di ogni altro durante l'Italia repubblicana» ha guidato il governo del nostro Paese. «È stata ricordata la sua visione politica, gli importanti risultati ottenuti dai suoi esecutivi e il suo ruolo di fondatore del centrodestra», dice commosso il vicepremier e coordinatore di Forza Italia. Tajani, destinato a diventare quasi certamente il reggente del partito, si è concentrato soprattutto sugli «aspetti umani» del Berlusconi presidente del Consiglio. «Metteva sempre la persona al centro della sua attenzione, qualunque fosse il ruolo», dice il ministro degli Esteri. Che cita l'incontro ad Arcore con «gli operai del consiglio di fabbrica della Gilera», ma anche il faccia a faccia davanti a Palazzo Chigi con i «minatori del Sulcis». Quando decise di presentarsi «da solo», contro «il parere di tutti noi», preoccupati «di cosa poteva accadere». E poi Bari vecchia, dove «in un dialetto che capivamo a stento, le signore anziane ci dicevano che non si poteva vivere con 200mila lire al mese». È un amarcord commosso quello di Tajani, che nel 1994 fu uno dei firmatari dell'atto fondativo di Forza Italia.
Un Consiglio dei ministri, dunque, che è anche un tributo al Cavaliere. Nonostante la coda polemica dei leader di Pd e M5s (Elly Schlein e Giuseppe Conte accusano il governo di «cavalcare» la sua morte per approvare una «riforma sbilanciata»), è infatti evidente che la scelta dell'esecutivo è consapevolmente in continuità con Berlusconi.
Lo lascia intendere Nordio, lo conferma il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto («è sempre stato uno dei punti fondanti del suo impegno politico») e lo ribadisce Licia Ronzulli, capogruppo di Forza Italia in Senato. «Il governo - dice - non poteva rendere omaggio alla sua memoria in modo migliore».
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