
Tutto è bene quel che finisce bene, e per Nello Trocchia e Sara Giudice, cronisti d'inchiesta-, lui al Domani lei già a Piazza Pulita con Formigli -, e coppia nella vita, quel bene è l'archiviazione da parte del gip di una denuncia per un reato odioso: violenza sessuale di gruppo. Denuncia piovuta sulla coppia a febbraio 2023 da parte di un'amica e collega che, dopo aver trascorso la serata con i due, per festeggiare il compleanno di Giudice in un locale di Trastevere, li aveva accusati di averla molestata in taxi. Il pm non ci aveva creduto, chiedendo l'archiviazione prima ancora che la notizia, a fine estate scorsa, finisse sui giornali. Ma la presunta vittima insisteva sulla sua posizione, chiedendo pubblicamente, per bocca del suo avvocato, il motivo della mancata attivazione del codice rosso. Insomma, per i due giornalisti è stata una prova difficile, anche se i testimoni li hanno sempre scagionati, a cominciare dal tassista, lo stesso che aveva «soccorso» la ragazza ma che, a verbale, ha sempre dichiarato che le effusioni tra i tre gli erano sembrate spontanee, tra consenzienti.
Per i due cronisti finiti alla gogna è stata una brutta storia, un capitolo difficile da dimenticare. Trocchia, uno che prima della disavventura non era proprio il paladino del garantismo, s'è ritrovato pure lui folgorato sulla via di Damasco, scoprendo i lati oscuri della sua professione. E così dopo che lui e Giudice, comprensibilmente, hanno esultato sui social per l'archiviazione, lamentando di aver subito una «campagna di mostrificazione», Trocchia ha scelto di affidare al Foglio un po' di riflessioni sul suo mestiere. «Noi giornalisti maneggiamo la reputazione degli altri. E questo andrebbe fatto con grande senso di responsabilità», ha spiegato al quotidiano. Per poi aggiungere che «invece non è così», che «siamo irresponsabili» e che «non ci interroghiamo sull'enorme potere che abbiamo, anche di distruggere le persone». Insomma, insiste, «la libertà di informazione non è solo libertà, ma anche responsabilità».
E al vicedirettore del Foglio Salvatore Merlo che gli chiede se «bisogna che una cosa del genere ti capiti, perché ci si rifletta», Trocchia giura che ci aveva «riflettuto anche prima», però poi ammette: «A volte noi giornalisti non consideriamo il dubbio come elemento centrale, chiave, del racconto. Il dubbio dovrebbe essere il motore nell'attività del giornalismo giudiziario: se il giornalismo è inseguire in maniera forsennata una tesi, non è più giornalismo», ma «un'altra cosa». Un'altra cosa che Trocchia conosce bene, ossia «la logica dell'inchiesta a priori, quella per cui devi piegare la realtà alla tesi pregiudiziale», spiega ancora, convinto adesso che, però, «non si può fare così».
Trocchia ha al suo attivo molte inchieste, come quella che ha rivelato il pestaggio dei detenuti sotto Covid nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, ma anche storie controverse, come il coinvolgimento nell'inchiesta sui cosiddetti dossieraggi della Dna. Di certo non era un garantista. Oggi pare lo sia diventato. E giura: «Le carte giudiziarie, le intercettazioni, non si usano per distruggere gli altri. Altrimenti saltano completamente le regole. Salta la professione».
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