È un bilancio di (poche) luci e ombre quello della prima settimana di apertura dei negozi dopo il lockdown. La voglia di tornare alla normalità è forte e spinge la gente a sopportare gli inevitabili fastidi delle prescrizioni della fase due: code per tutto, un continuo metti e leva di guanti monouso per entrare nei negozi, mascherine fisse sul viso, gel igienizzanti a go go.
Ma se per i clienti i problemi sono questi, i titolari degli esercizi commerciali già messi in ginocchio dal lungo stop delle attività sono ulteriormente in allarme per i costi esorbitanti delle riaperture che rischiano di impedire la ripresa della maggior parte delle attività economiche. Tanto che, secondo un sondaggio realizzato dal centro studi di Unimpresa fra le oltre 100mila aziende associate, almeno l'80 per cento delle piccole e medie imprese italiane preferirà restare chiusa oppure potrebbe essere costretta a farlo nell'arco di poche settimane perché non riesce a far quadrare i conti con tutte le spese per i dispositivi, per la sanificazione dei locali, per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e per i continui e necessari adempimenti. «Le promesse del governo sono barzellette», lamenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi.
Per quanto riguarda i negozi, c'è stata una buona risposta per gli acquisti di prossimità, ma in città come Milano ha pesato l'assenza di turisti, soprattutto in centro.
«Il primo giorno è stato il più incoraggiante - spiega Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio - Le vendite si sono poi assestate nei giorni successivi, evidenziando comunque come sia forte il desiderio di ritorno alla normalità». A Milano il 66% delle aziende ha registrato un riscontro negativo in questa prima settimana, il 16% positivo e il 18% stabile.
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