Giorgia Meloni non ha «sbagliato magistrato», come hanno accusato a sinistra, quando ha presentato al procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo il suo esposto sulle irregolarità al click day per i migranti. La mossa è stata così giusta che solo un mese dopo arrivano 47 misure cautelari, per la scoperta di un'associazione a delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina.
Le indagini «erano già in atto da qualche tempo» ma «si sono avvalse del coordinamento del procuratore nazionale antimafia per la loro accelerazione» dopo l'iniziativa della premier, dichiara il procuratore di Salerno Giuseppe Borrelli nella conferenza stampa sui risultati dell'operazione.
Pensare che l'esposto che ipotizzava una grande truffa organizzata soprattutto in Campania (un numero sproporzionato di richieste era partito dalla regione), aveva scatenato attacchi violenti e ironie graffianti contro Meloni. Dal governatore campano Vincenzo De Luca («Avrebbe potuto fare un viaggio più breve: anziché andare dal procuratore Melillo, poteva andare dal prefetto che oggi è ministro dell'Interno») a quello della Puglia Michele Emiliano («Non so chi l'ha consigliata, evidentemente per andare in televisione basta e avanza»), da Angelo Bonelli («Una cosa paradossale, si comporta come se fosse all'opposizione») a Nicola Fratonianni («Mossa dal sapore propagandistico») di Verdi-Si ai quotidiani rossi come La Repubblica («Se la premier per farsi uno spot bussa al magistrato sbagliato») e Manifesto («Presentare un esposto lì ha molto poco senso»), tutti a criticare e spiegare alla premier che la Procura nazionale antimafia non fa indagini e che lei doveva rivolgersi altrove.
Solo che sono stati tutti clamorosamente smentiti perché, come ricorda il procuratore Borrelli, quello che fa l'ufficio in questione è coordinare le indagini di diverse direzioni distrettuali antimafia e questo ha messo le ali all'inchiesta che ipotizza infiltrazioni camorristiche. La Finanza di Salerno, su delega della Dda ha agito nelle province di Salerno, Napoli, Caserta, Potenza, Matera, Cosenza, Sassari, L'Aquila e Pesaro-Urbino, 13 persone sono finite in carcere, 24 ai domiciliari e 10 hanno subito una misura interdittiva dallo svolgimento di attività professionali e imprenditoriali per un anno. Inoltre, sono stati sequestrati beni per 6 milioni di euro e nel corso delle perquisizioni sono stati trovati agli indagati circa 300mila euro in contanti nonché un libro mastro delle operazioni fittizie. È stato ricostruito l'intero sistema illecito, con costituzione di società ad hoc e utilizzo fraudolento dell'identità digitale di imprenditori ignari, per l'inserimento di circa 2.500 istanze per il nulla osta per entrare in Italia.
Il click day, in cui un datore di lavoro può presentare per via telematica una domanda di assunzione per un lavoratore che si trova all'estero, si sarebbe insomma trasformato in un
grande imbroglio in cui a ogni immigrato venivano chieste mille euro per ogni istanza inoltrata, 2mila euro per ogni nulla osta e visto rilasciato e per ogni eventuale fittizio contratto di lavoro firmato ulteriori 2mila euro.
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