«Retribution». Vale a dire, il «castigo». È quello che promette Donald Trump a chi ha cercato e cercherà di ostacolarlo nella «battaglia finale» per la riconquista della Casa Bianca. L'intervento del tycoon era il più atteso alla Conservative Political Action Conference, la grande kermesse dei conservatori repubblicani, quest'anno ospitata dal Gaylord National Convention Center, in Maryland, mezz'ora di auto da Washington. «Nel 2016, dissi che sarei stato la vostra voce. Oggi dico che sarò il vostro guerriero, la vostra giustizia e, per coloro che hanno sbagliato e tradito, sarò il vostro castigatore», ha detto l'ex presidente a una folla di fedelissimi in tripudio, che nelle giornate precedenti il suo intervento avevano accolto tiepidamente, se non con ostilità, i pochi sfidanti che si erano presentati qui. Mike Pompeo, l'ex segretario di Stato, praticamente ignorato. Nikki Haley, l'ex ambasciatrice Onu, l'unica finora ad avere lanciato apertamente la sua sfida, accompagnata all'uscita da un gruppetto di fan dell'ex presidente, che le urlavano in faccia, «Vogliamo Trump!».
Difficile ricavare un'impressione definitiva sui rapporti di forza in campo, dopo la tre giorni. Quello che era un tempo l'evento chiave per stabilire la reale consistenza dei potenziali candidati repubblicani, quest'anno è stato snobbato dai principali leader del partito. Non c'era il governatore della Florida, Ron DeSantis, sempre più prossimo all'annuncio della discesa in campo. Non c'era nemmeno Mike Pence, l'ex vice presidente e possibile sfidante («deciderò in primavera»). Assente anche lo speaker della Camera, Kevin McCarthy. Sulle loro defezioni ha sicuramente pesato lo scandalo che ha investito Matt Schlapp, l'organizzatore del Cpac, accusato di molestie sessuali ai danni di un attivista. Soprattutto, ha pesato l'ingombrante presenza di Trump, ritenuto dall'establishment del partito il candidato meno adatto a un possibile re-match con Joe Biden, come sperimentato nel voto di midterm. Lui, Trump, ha preferito evitare, per ora, lo scontro diretto coi suoi avversari interni. Nessun accenno, nel suo discorso, a Ron DeSanctimonious, Ron l'ipocrita, come in passato aveva bollato il governatore della Florida. Davanti a una sala non del tutto gremita, il tycoon ha rispolverato i toni messianici della campagna 2016, per promettere il riscatto dell'America che ancora si identifica in lui: quella bianca, al confine tra middle e working class, allergica ai cambiamenti sociali e culturali e desiderosa di «tornare grande». «Maga», Make America Great Again, come recita lo slogan trumpiano per eccellenza, esibito sui cappellini e le magliette dei suoi fan accorsi in Maryland.
«Finiremo quello che abbiamo iniziato. Completeremo la missione. Combatteremo questa battaglia fino alla vittoria finale», ha detto. A Trump è bastato puntare il dito contro l'amministrazione Biden, «la più corrotta della storia», per galvanizzare i suoi, senza entrare troppo nel merito di quello che farebbe, una volta tornato alla Casa Bianca. Sulla Cina, la promessa dello stop a tutte le importazioni da Pechino. Sull'Ucraina, il tycoon ha fatto parlare il suo ex capo stratega, Steve Bannon, che dal palco ha liquidato l'invasione russa come una questione «europea», dalla quale gli Usa dovrebbero prendere le distanze. Donald ha aggiunto: «Io sono l'unico candidato che può fare questa promessa: io eviterò la Terza guerra mondiale».
Poco prima di salire sul palco, parlando con i cronisti, Trump era stato esplicito riguardo alle tante inchieste e guai giudiziari che pesano sulla sua testa. In caso di rinvio a giudizio, «non ci penso nemmeno a ritirarmi», ha assicurato.
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