In una liturgia ormai sperimentata, ma non per questo meno impressionante, Donald Trump si è consegnato alle autorità giudiziarie del tribunale federale di Washington, per rispondere dei quattro capi di imputazione legati al tentativo di sovvertire il risultato delle Presidenziali del 2020. Di nuovo: identificazione, lettura dei suoi diritti, impronte digitali, ma non la «mugshot», la foto segnaletica. Poco prima del suo «arresto», il terzo in quattro mesi, in una delle aule della E. Barrett Prettyman Courthouse di Constitution Avenue si sono celebrate le battute finale del processo a Jeffrey Grace, uno dei Proud Boys che assaltarono il Congresso: sei anni e due mesi di carcere, a fronte di una dichiarazione di colpevolezza. Il tycoon si è dichiarato innocente ed è stato rilasciato con la condizione di non avere contatti con i testimoni del suo caso, se non in presenza degli avvocati. «Questo è una giornata molto triste per l'America - ha dichiarato - una persecuzione di un oppositore politico».
La prossima udienza è fissata per il 28 agosto. Sono 561 gli anni che lo stesso Trump, in un'email inviata ai suoi sostenitori, ha detto di rischiare per essere stato «incriminato illegalmente». Un'esagerazione, ma utile per raccogliere i fondi per pagare le parcelle milionarie del suo esercito di avvocati. A partire da mercoledì sera, la polizia di Washington aveva allestito il dispositivo di sicurezza per accogliere l'ex presidente-imputato. Barriere, strade chiuse, perfino gli spazzaneve parcheggiati come scudi, per evitare sorprese. Si è registrata una folla contenuta, sicuramente inferiore a quella vista a Miami, nella precedente incriminazione per i documenti top secret trattenuti negli sgabuzzini di Mar-a-Lago. A poche centinaia di metri a sud della sede del tribunale c'è la cittadella di Capitol Hill, il teatro dell'insurrezione del 6 gennaio 2021. A due passi, c'è l'ex Trump International, l'albergo dove il tycoon faceva alloggiare i dignitari stranieri e gli agenti del secret service addetti alla sua sicurezza. Poco più distante dalla Courthouse, in direzione ovest, si trova invece l'Ellipse, il parco sul lato sud della Casa Bianca, dal quale Trump quel giorno, in un comizio di 70 minuti, scatenò i suoi supporter: «Abbiamo vinto le elezioni. Fermeremo il furto. Non molleremo mai. Non concederemo mai la vittoria». Trump in due anni e mezzo non si è mai mosso da quel palco: «Sto andando a Washington per essere arrestato per aver contestato un'elezione corrotta, truccata e rubata. È un grande onore, mi arrestano per voi», ha scritto su Truth, poco prima di lasciare il suo resort di Bedminster, in New Jersey, per imbarcarsi sul Trump Force One. «Mi serve un'altra incriminazione per vincere le elezioni!» ha scritto in un altro post, sfidando il dipartimento di Giustizia e il «corrotto Joe Biden». Come per le precedenti incriminazioni, Trump si è dichiarato «non colpevole» davanti alla giudice Moxila Upadhyaya, chiamata a presiedere questa parte del procedimento, che poi in fase processuale passerà nelle mani di Tanya Chutkan, nominata da Barack Obama nel 2014. Spetterà a lei, insieme alla giuria, valutare gli elementi dell'accusa, guidata dal procuratore speciale Jack Smith, e quelli della difesa.
Rispetto alle 45 pagine dell'atto di incriminazione, Smith ha «molto altro, molte altre prove», ha detto alla Cnn William Barr, l'ex ministro della
Giustizia di Trump, che ruppe con il tycoon dopo i fatti del 6 gennaio. Proprio Barr potrebbe essere chiamato a testimoniare nel processo contro il suo ex presidente, come avvenuto nell'inchiesta parlamentare del Congresso.
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