Il ripristino della pena di morte taglierebbe irrimediabilmente la Turchia fuori dalla Ue. Nel maggio scorso sembrava mancasse soltanto un passo alla liberalizzazione dei visti per l'ingresso dei cittadini turchi in Europa. A distanza di poche settimane l'entrata della Turchia nella Ue appare come un'insensata chimera mentre la deriva violenta cavalcata da Erdogan nel dopo golpe spaventa Europa ed Usa, al punto che già si ipotizzano allarmanti scenari conseguenti all'eventuale uscita della Turchia dalla Nato. Si assiste con orrore alle decapitazioni in strada, al trattamento disumano dei prigionieri, all'incarcerazione di migliaia di magistrati e poliziotti. Si guarda con preoccupazione al sequestro del complesso militare Nato di Incirlik dove si trovano 50 testate nucleari. Anche se dopo l'arresto del suo comandante turco Bekir Ercan, compromesso, pare, con il putsch, i vertici della base militare hanno confermato la ripresa delle operazioni Usa anti -Isis.
Di fronte alle purghe del governo di Ankara l'Europa dunque prova ad alzare la voce ed a chiedere il rispetto dei diritti umani. L'eventuale ripristino della pena di morte (abolita soltanto 12 anni fa) ventilato dallo stesso Erdogan escluderebbe a priori ed in modo assoluto l'ingresso della Turchia nella Ue. Ma c'è da chiedersi se davvero il primo obiettivo di Erdogan sia quello di entrare nella Ue mentre sembrerebbe piuttosto il contrario. Angela Merkel e John Kerry invitano il governo alla moderazione ma l'invito cade nel vuoto come dimostrano le immagini drammatiche della repressione turca che stanno facendo il giro del mondo e per le quali l'organizzazione Amnesty International ha lanciato un appello ai governi affinché il governo metta fine alla rappresaglia. La situazione è esplosiva perché il governo turco ha in mano potentissime armi di pressione nei confronti di Ue e Usa. Ieri il vertice dei ministri degli esteri europei ha condannato il tentativo di colpo di Stato ma allo stesso tempo ha censurato l'azione di violenta repressione del governo. Le parole più dure sono arrivate da Berlino. «Nelle prime ore dopo il fallito colpo di stato abbiamo assistito a scene rivoltanti di giustizia arbitraria e vendetta - dice la Merkel - E questo non è accettabile». Ma quello che davvero preoccupa la Germania è che fine farà l'accordo sui profughi appena stipulato con la Turchia che è costato già 3 miliardi all'Europa. Se quel patto salta il flusso di rifugiati potrebbe essere insostenibile dal punto di vista politico per il vecchio continente sempre più slabbrato dopo la Brexit inglese.
Anche il segretario di Stato Usa, John Kerry (presente ieri a Bruxelles per il vertice dei ministri degli Esteri, ed evidentemente molto preoccupato per la chiusura temporanea della base militare di Incirlik) ha ricordato al governo turco che «la permanenza nella Nato richiede il rispetto dei principi democratici» per poi precisare subito dopo però che la permanenza della Turchia nella Nato al momento «non è in bilico». Certo è che l'eventuale uscita dalla Nato comporterebbe problemi enormi a cominciare dalle 50 bombe ad idrogeno che si trovano nella base militare.
E l'attrito fra Turchia e Usa è alimentato dalla richiesta di estradizione di Tethullah Gulen, al momento residente in Pennsylvania, considerato il nemico numero uno da Erdogan oltre che l'orchestratore del tentato golpe.
Kerry sostiene che non sono state inoltrate domande formali di estradizione e che comunque per ottenerla la Turchia deve produrre «prove e non supposizioni» del coinvolgimento di Gulen nel putsch. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, dopo il consiglio dei ministri a Bruxelles ha evidenziato «l'unità di intenti» di Ue e Usa nei confronti della crisi internazionali, da quella libica alla crisi Turca.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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