Turchia e Grecia: al via il tour di Blinken tra ricatti, intimidazioni e rischi escalation

Prima tappa da Erdogan che cerca di accreditarsi nei tavoli che contano. E Hamas chiede al segretario Usa di fermare "l'aggressione ai palestinesi"

Turchia e Grecia: al via il tour di Blinken tra ricatti, intimidazioni e rischi escalation
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Il quarto viaggio in tre mesi in Medio Oriente di Antony Blinken inizia mentre Hezbollah rivendica il lancio di 62 razzi verso Israele. Così la milizia sciita libanese finanziata dall'Iran accoglie il capo della politica estera a stelle e strisce confermando una sostanziale indisponibilità al dialogo. Così al segretario di stato americano non resta che tentare l'ultima mossa per impedire l'allargamento del conflitto israeliano-palestinese a buona parte del Medio Oriente, cosa in parte già verificatasi dopo gli attacchi degli ultimi giorni.

Blinken parte da Istanbul perché consapevole del doppio ruolo di Recep Tayyip Erdogan: da un lato soggetto che definisce Hamas un «gruppo di liberazione» e che cova (non più sotto traccia) l'ambizione di essere pivot di un mondo musulmano che vorrebbe unificato, dal Golfo in su; dall'altro, intreccio geopolitico con altri big players come Russia e Cina che recitano un ruolo, attivo e passivo, in Ucraina.

L'incontro con l'omologo turco Hakan Fidan, dunque, non ha riguardato solo Gaza, su cui la Turchia ha insistito per il cessate il fuoco senza però indicare nel merito come, ma «questioni bilaterali e regionali». Facile intuire dove il governo Erdogan voglia arrivare per concedere disponibilità: acquistare i caccia F-16 da Washington dopo il via libera alla Svezia nella Nato, anche per ottenere i galloni utili a sedersi al tavolo delle trattative diplomatiche sull'Ucraina. Un puzzle geopolitico complicatissimo, reso ancora più indecifrabile dalle mille interferenze che, da oriente, stanno giungendo con gli incidenti nel Mar Rosso. Anche per questo Blinken dopo la Turchia ha previsto tappe in Grecia, Giordania, Qatar, Eau, Arabia Saudita, Israele, Cisgiordania ed Egitto.

Quando Fidan parla di «crescente aggressione» israeliana nella Striscia e di una «minaccia» per la regione non lo fa per avviare sin da oggi una soluzione a due Stati, ma per rafforzare la narrazione della Patria Blu, con in evidenza il ruolo del Bosforo sui tavoli geopolitici che contano. Il riferimento è, evidentemente, al corridoio del grano attraverso il Mar Nero per far partire gli alimenti bloccati nei porti ucraini. Non solo: il Caucaso non è un fronte ancora completamente calmierato, al netto dell'accordo tra Azerbaigian e Armenia, contestato dalla Francia. Nelle stesse ore da Teheran spiccano le parole del generale Hossein Salami, del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica: «Dobbiamo difendere i nostri interessi nazionali ovunque si estendano. Sarebbe dannoso per il nemico trovarsi vicino e a mezza distanza».

È in questo quadro scomposto che trova terreno fertile la propaganda di Hamas che, per bocca del suo leader Ismail Haniyeh, ha rivolto un appello al segretario Usa: utilizzi questi incontri per «fermare l'aggressione contro i palestinesi» e far sì che «termini l'occupazione dei territori palestinesi». Parole che si sommano alla raffica di missili partita dal Gruppo islamico in Libano, affiliato ai Fratelli Musulmani, verso la città israeliana di Kiryat Shmona.

Blinken ne ha discusso ieri sera anche con il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis nella sua residenza di Creta, isola diventata di fatto una sorta di portaerei naturale per i caccia e i sottomarini americani che monitorano l'area di Gaza (la Grecia avrà presto 20 F-35). Dall'Egeo Blinken volerà in Giordania, per chiudere il suo tour tra sei giorni in Egitto.

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