Mentre le Borse cinesi bruciano centinaia di miliardi di dollari a causa dell'epidemia di coronavirus, il contraccolpo economico dell'emergenza sanitaria potrebbe farsi sentire anche in Italia. Due, secondo le stime elaborate dalle organizzazioni di settore, sono i comparti destinati a subire le perdite più sensibili: il turismo e la moda. Anche se la rapidità con cui Pechino ha reagito alla situazione, a differenza di quanto avvenuto durante l'epidemia di Sars del 2002-2003, fa auspicare che si possa trattare di effetti negativi solo temporanei.
Secondo l'Istituto Demoskopika, il coronavirus metterebbe a rischio 4,5 miliardi di euro di spesa turistica in Italia nel corso del 2020, pari a circa il 5% del prodotto interno lordo del settore. La maggior parte di queste perdite - il 70%, 3,2 miliardi - peserebbe sui sistemi ricettivi di quattro regioni: Veneto, Toscana, Lazio e Lombardia, in quest'ordine. Si tratta di stime, basate su dati Bankitalia e Istat, ricavate ipotizzando una riduzione dei flussi di visitatori provenienti dalla Cina e dagli altri Paesi che a oggi hanno registrato casi accertati di coronavirus, come Germania, Stati Uniti, Francia e Regno Unito. L'impatto coinvolgerebbe strutture alberghiere, ristorazione, intrattenimento e in generale tutte le attività commerciali che beneficiano dalla presenza di stranieri. Potrebbero arrivare quasi a quota 5 milioni i turisti costretti a rinunciare all'Italia per precauzione o perché impossibilitati (i voli dalla Cina all'Italia sono bloccati), per un totale di 14,6 milioni di pernottamenti persi. Preoccupata anche la Cna di Roma, che dà voce ad artigiani e piccole e medie imprese. Tra le disdette dei turisti cinesi e quelle dei viaggiatori dei Paesi vicini, l'associazione prevede mancati introiti pari al 30% del fatturato per il settore ricettivo della capitale. Danni significativi soprattutto perché si verificano nel periodo del Capodanno cinese, quando normalmente nella capitale si registra una presenza massiccia di visitatori da Pechino, che arrivano a rappresentare anche il 25% dei turisti totali. La chiusura del traffico aereo da e per la Cina decisa dal governo italiano (unico caso in Europa, per il momento) ha contribuito a complicare le cose. Così come la scelta di alcuni portali di prenotazione, come Booking ed Expedia, di concedere gratuitamente la cancellazione dei viaggi prenotati fino al prossimo 29 febbraio per chi sarebbe dovuto partire da Cina, Macao e Thailandia.
Insieme al turismo, guarda con attenzione all'evoluzione dell'emergenza anche il mondo del fashion. La Camera nazionale della moda prevede per il primo semestre del 2020 una contrazione del fatturato dell'industria stimato tra l'1,5% e il 2,5% rispetto ai primi sei mesi dell'anno scorso, dovuta a un calo dell'export previsto tra lo 0,5% e l'1%. In cifre assolute, ci si aspetta per il primo trimestre dell'anno una perdita di esportazioni prossima ai 100 milioni, che diventerebbero 230 nell'arco del semestre. La cautela, tuttavia, è d'obbligo: è la stessa Camera della moda a definire «senza precedenti» i provvedimenti adottati dall'esecutivo cinese per contenere l'epidemia, che rendono scivoloso un eventuale confronto con l'impatto che ebbe la Sars sul comparto (-20% di esportazioni italiane in un trimestre). Per dirla con le parole del presidente della Cnmi, Carlo Capasa: «Contiamo sul fatto che sia un effetto temporaneo, e che nella seconda metà dell'anno ci sia una ripresa».
Nel frattempo saranno almeno un migliaio gli addetti cinesi del settore fashion che non potranno presenziare alla Settimana
della moda di Milano: per loro sono state predisposte diverse soluzioni tecnologiche, a partire dagli streaming, per farli partecipare anche da remoto. Ma l'evento sarà aperto da un designer cinese, come gesto simbolico.
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