"Tutta l'Italia ci rimette se le forze non dialogano"

L'ex vicepremier Francesco Rutelli ospite di un evento dedicato ai conservatori: "La sinistra si apra al confronto"

"Tutta l'Italia ci rimette se le forze non dialogano"

Francesco Rutelli 70 anni, ex vicepremier con Prodi, ex sindaco di Roma, ex candidato alla premiership nel 2001 contro Berlusconi, non si arrocca sulle posizioni della sinistra woke. L'altro giorno ha partecipato alla presentazione di un libro sul conservatorismo, scritto da Francesco Giubilei, e ha invitato la sinistra ad aprirsi al confronto.

È possibile ed è giusto un dialogo tra i conservatori e la sinistra liberale?

«Il dialogo è indispensabile. Tra componente politico-culturale conservatrice e culture democratico-liberali. E dovrebbe riguardare anche le sinistre, come i moderati. Insomma, tutto lo spettro politico. È evidente: oggi si crede che la super-polarizzazione sia premiante. Io esisto perché ci sei tu da demolire. Ma alla lunga l'Italia ci rimette, perché non esistono spazi decenti di collaborazione su scelte vitali per la Nazione. Senza che si faccia confusione tra chi governa e chi è all'opposizione; ma anche per questo continuo pugilato milioni di persone finiscono nell'astensione».

Oggi i valori della destra e della sinistra, dei conservatori e dei progressisti, sono nettamente contrapposti?

«Nel bel lavoro di Francesco Giubilei sulla storia del Conservatorismo in Italia ho trovato molti nomi e voci che appartengono, almeno in parte, alla mia formazione e cultura politica: da Leonardo Sciascia a Indro Montanelli; dal drammatico percorso di Bottai alle provocazioni di Longanesi; da Piero Gobetti a Ortega y Gasset, a Rémi Brague. Per non parlare di De Gasperi. Scoprire le ragioni dell'altro, comunque rispettarle, è alla base del valore universale della democrazia. Risiede nel pluralismo. A me lo ha insegnato la lettura di Hannah Arendt».

Durante l'incontro dell'altra sera lei ha detto che le sue scelte politiche da sindaco hanno scontentato più la sinistra della destra. Me lo spiega?

«Alcune volte mi è capitato di fare scelte per me ovvie - e doverose per un sindaco di Roma. Che so: rendere omaggio alle vittime delle foibe e ai profughi istriani e giuliano-dalmati; mettere la lapide in ricordo di Marinetti sulla sua casa; proporre di dedicare una via a Bottai; realizzare - col grande assessore Gianni Borgna, uomo di sinistra e di altissimo valore - il primo grande Convegno nel cinquantesimo anniversario dell'assassinio di Gentile. Beh, mica cercavo né pensavo di ottenere voti dalla destra di allora. Ma ho perso un po' di voti di sinistra. E certo non lo rimpiango».

La politica resta un'attività fondata sui valori, o la politica moderna è solo conquista del consenso?

«Senza consenso non c'è politica, ma solo autoproclamazioni. E senza valori - e, ribadisco, il rispetto per quelli autentici dell'altro - credo non ci sia dignità della politica».

C'è una grande distanza tra battaglia politica e capacità di governo?

«Sì. Vedo qui un aspetto cruciale: si preferiscono spesso collaboratori fedeli politicamente a persone capaci di ottenere risultati durante l'attività di governo».

Mi faccia un esempio.

«Le faccio un esempio legato all'organizzazione civile del grande Giubileo del Duemila, che oggi tutti riconoscono sia stato gestito bene, e con risultati positivi. Tra i miei più stretti collaboratori c'erano due persone che avevano altra cultura politica (ed hanno avuto e hanno importanti responsabilità originate da governi di centro-destra): Guido Bertolaso, e Marcello Fiori. Erano capaci? Sì. Sono stati leali verso le istituzioni? Sì».

Su quali idee sconfisse Fini alle elezioni del 93?

«Quello fu il primo caso di polarizzazione politica di rilievo nazionale, soprattutto con la "discesa in campo" di Berlusconi. Penso che noi avessimo un buon programma di governo, e gli anni successivi si sono incaricati di dimostrare che lo abbiamo realizzato».

Che rapporti ha con Fini?

«Con Gianfranco siamo rimasti amici. All'origine - quando sembrava che potessero insorgere conflitti tra i nostri sostenitori - ci fu un bellissimo appello fatto dalle due mogli, Barbara e Daniela, che calmò gli animi. A proposito: lo sa che io andavo a stampare, da ragazzo, i giornaletti del Partito radicale nella tipografia del Secolo d'Italia (dove lavorava Daniela)? Alcuni mi prendevano per matto, ma le tariffe erano convenienti, mi accoglievano bene; qualche volta saltava la stampa perché era esplosa una bomba nella tipografia...»

Lei nasce come erede di Pannella. Cosa resta di quella cultura e di quella pratica politica?

«Gli eredi, per fortuna, sono molti. In fondo, lo sono tutti gli italiani, anche se spesso inconsapevoli. Perché la società italiana è progredita grazie alla coraggiosa stagione radicale dei diritti civili».

Ma nella politica italiana il centro esiste ancora?

«Esisterà sempre, ma sempre in posizione difficile. Il tentativo del Terzo Polo che facemmo attorno al 2010 fu vanificato dalla nascita dell'inedito terzo polo grillino (che fu il primo partito in Italia, oggi ce lo dimentichiamo, sia nel 2013 che nel 2018). Appunto: non sempre equilibrio e moderazione sono attrattivi e premiati dagli elettori».

Domanda d'obbligo: quando Mattarella lascia sarà candidato al Quirinale?

«Grazie ma non esiste. Sono fuori dalla politica e dal Parlamento».

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