Nella campagna elettorale monopolizzata dal ritorno di un antifascismo sempre più di maniera e di uno stanco antiberlusconismo, quasi nostalgico, la vecchia lezione di Tony Blair sembrava dimenticata: «Si vince al centro». Nel cuore della Seconda repubblica era diventato un luogo comune ipercitato, ripetuto anche a sproposito in ogni convegno di partito, in ogni talk show. Oggi, il ritorno del proporzionale sembra aver riesumato l'epoca dei partiti identitari, sempre in cerca di una strategia per caratterizzarsi, lo spot giusto per marchiarsi con un segno distintivo. Negli ultimi giorni della campagna però, i toni si sono mano mano moderati. Il Pd ha tentato inizialmente di cavalcare la storiella dell'antifascismo per contrastare la concorrenza «interna» dei Liberi e uguali, Renzi doveva assolutamente dimostrare di essere più di sinistra di Grasso e soci. Poi i sondaggi hanno rivelato che la favoletta nostalgica dell'antifascismo poteva servire a consolidare un po' lo zoccolo duro in disfacimento del partito, ma in realtà non aveva portato che un misero mezzo punto percentuale. E così Renzi ha cominciato a limare gli spigoli. Ha progressivamente ammainato il vessillo dell'antifascismo e, temendo l'erosione pentastellata del suo partito, ha rottamato la rottamazione che aveva fatto la sua fortuna e lanciato slogan come «Non votateci se volete l'antipolitica». Del resto, da politico navigato, l'uomo di Rignano non ha mai fatto della coerenza la sua bandiera. Nel 2015 diceva che «non si vince al centro» e l'esatto opposto due anni dopo, quando Macron ha vinto in Francia. Anche negli altri schieramenti, del resto, la virata al centro è stata decisa. Perfino la Lega ha arrotondato le punte più acuminate della propria retorica elettorale. Nel duello tv con Laura Boldrini, Matteo Salvini è apparso senza dubbio il più moderato dei due. E negli ultimi giorni, il leader della Lega che ha sempre cavalcato il tema della cacciata dei clandestini, ha più volte parlato di una più morbida «immigrazione controllata». Ma il partito che più di tutti ha invertito la rotta dell'estremismo è il Movimento cinque stelle. Dal programma sono spariti i propositi più bellicosi, provocando l'ira dei fan della prima ora.
Moderazione sul no ai vaccini, nessuna uscita dall'euro, di lasciare l'Europa neanche a parlarne, via la patrimoniale, pacifismo attenuato eliminando il taglio degli odiati jet F35 e nel finale la presentazione di una squadra di (potenziale) governo con dentro perfino un fan della vituperata Buona scuola. Per molti leader «Si vince al centro» è un luogo comune da disprezzare, ma solo finché non si avvicinano le urne. Poi si preferisce la linea «non è vero, ma ci credo».
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