Tutti i sondaggi lo danno sconfitto. E Letta ragiona già come se fosse all'opposizione

Il segretario dem è così a disagio con la democrazia che si è arreso prima delle urne. Ora può delegittimare l’avversario e dire agli italiani: noi vi avevamo avvertiti.

Tutti i sondaggi lo danno sconfitto. E Letta ragiona già come se fosse all'opposizione

La sconfitta ormai è qualcosa di più di un sospetto. È una scelta: sottoscritta, dichiarata, ripetuta a ogni passo. È come se il Pd fosse così poco a proprio agio con la democrazia da non provarci neppure più. Si arrende a meno di un mese dal voto e questa cosa davvero non si è mai vista. È un piangersi addosso preventivo, che sa di dismissione, come se il lamento fosse una sorta di progetto politico da portare in Parlamento, con la scusa un giorno di poter dire: noi ve lo avevamo detto. Non è solo una questione di sondaggi. Alla Camera, secondo Demopolis, i seggi del centrodestra sarebbero 246. È vero, vanno male, ma un democratico saggio conta i voti non i consensi virtuali. La sconfitta, se c'è, la riconosce il giorno dopo. La ammette e stringe la mano all'avversario e fa il suo dovere sui banchi dell'opposizione. Non gioca solo per delegittimare il momento cruciale della democrazia. È quello che invece incredibilmente sta facendo Enrico Letta, rinnegando i suoi studi e la sua cultura. Eccolo. «La democrazia non è a rischio se vince la destra, il nostro sistema regge e reggerà, il problema è la torsione maggioritaria generata dal taglio dei parlamentari e dal Rosatellum». Cosa sta dicendo il segretario del Pd? Il suo partito quelle leggi le ha votate. Si è accorto adesso che i suoi vecchi alleati, quelli del Conte bis, stavano creando un corto circuito sulle regole del gioco. Non è vero che voleva cambiare la legge elettorale. Non è vero quando dice: non ce lo hanno permesso. Poteva farlo, ma aveva troppa paura di scontentare i suoi alleati preferiti, quei Cinque stelle che poi hanno minato la maggioranza Draghi e fatto cadere il governo. Non si limita però a questo. Sta anche sostenendo che la vittoria del centrodestra è scontata e che sarebbe inquinata da un eccesso di maggioritario. È mettere le mani avanti, ma in modo scorretto.Cosa avrebbe detto Letta con una sinistra sopra il 40 per cento? Non è difficile da immaginare. Avrebbe parlato di vittoria della democrazia. Solo che la sinistra si presenta alle elezioni divisa in tre parti. È una fragilità strutturale, che deriva però anche da scelte politiche. Letta ha corteggiato Conte e troppo tardi si è reso conto che i grillini non hanno mai amato l'agenda Draghi e non brillano per atlantismo e europeismo. Sono compatibili con il Pd per un solo aspetto: la gestione cinica del potere. Letta poteva cercare l'intesa con Renzi e Calenda, ma lì ci sono fattori umani che pesano più delle idee. Non si sopportano.

Tutto questo spiega la campagna elettorale in difesa del Pd. Non ha mai detto «votateci». Ha solo raccontato perché non bisogna votare gli altri. Quelli sono fascisti. Quelli sono impresentabili. Quelli sono sporchi e cattivi e portano l'Italia nel baratro. Il Pd, invece? Non si sa. Ha passato tutto il tempo a indicare alibi per la propria sconfitta. Sembra quasi una fuga dal governo, perché il futuro promette tempesta. Forse è paura, visto che non c'è neppure un Draghi a metterci la faccia. Allora l'unica cosa è ripetere come fa Dario Franceschini la nenia di questi giorni: «Sono molto preoccupato da una destra approssimativa che altera gli equilibri internazionali del Paese». Notizia. Il Paese non è solo di chi vince. Le minoranza, in democrazia, hanno doveri e responsabilità. Sono quelle che praticava Pannella, che non ha mai tifato per la catastrofe. Tutti pensieri che Letta deve aver abbandonato da quando è tornato da Parigi. Adesso si abbandona solo a slogan senza troppa fantasia: «Voglio candidati con gli occhi della tigre». O attacca Giorgia Meloni con frasi di questo tipo: «Ha imbellettato il suo programma». Imbellettato dice tutto. È il furore binario del tifoso che non riesce più a nascondere, come una possessione. Viene fuori perfino a una Festa dell'Unità, nella sua Pisa, quando gli scappa un «Livorno merda».

È una ricerca di identità che vive solo nella ricerca di un nemico. Tutto questo senza l'orgoglio e lo spirito da «maledetti toscani». Il Pd, al di là delle elezioni, ha già perso: da troppo tempo è solo un anti partito.

E come alibi dice che ha Saturno contro.

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