Era bella Agitu. Bella. Aveva nel sorriso la fiamma di chi arde e nelle mani la voglia di lavorare. Lei apparteneva a quelle persone venute in Italia per dedicarsi a un mestiere, perché di questa terra se ne era innamorata. Agitu Ideo Gudeta, così si chiamava, etiope, aveva un sogno nel cuore, lì in mezzo a quelle valli, la valle dei Mocheni in Trentino, ma è stata ammazzata. Da un immigrato, un suo dipendente ghanese, uno di quelli che sbarcano a Lampedusa e che il nostro governo protegge, a cui lei, aveva dato lavoro. È stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Borgo Valsugana che ora indagano sull'omicidio. Martedì poco dopo le diciotto la vicina di casa di Agitu trova il cadavere della donna accanto al letto. A destare sospetto il fatto che la donna al mattino si sarebbe dovuta presentare a un appuntamento con un professionista del luogo, ma a quell'incontro non è mai andata. Scattano le indagini e i carabinieri di Borgo Valsugana e il Reparto operativo di Trento si concentrano su due persone. «La donna spiegano fonti al Giornale già nel 2018 era stata vittima di atti persecutori e stalking. Lo stalker, che non è la stessa persona che ha commesso il delitto, aveva già scontato la pena». Scartato quindi l'indiziato numero uno, gli investigatori si concentrano sull'indiziato numero due. Lui, Adams Suleiman, 32 anni, che poi ha confessato, si era già nascosto in mezzo alle montagne, a quattro chilometri di distanza, all'interno di una stalla. Sospettato, perché abitando sotto la donna, non era rientrato. Era arrivato con un barcone nel 2015 a Lampedusa. Era rimasto in clandestinità per 4 anni e poi aveva avuto un permesso regolare nel 2019. Lui l'ha colpita alla testa, tra le sette e mezza e le otto del mattino, con un martello da un chilo e mezzo. Il martello è stato ritrovato. E alla base sembrerebbe esserci un motivo economico, un mancato pagamento di una mensilità. Lui avrebbe anche provato a violentarla, l'esame autoptico chiarirà se ci sia stata violenza o meno. Il corpo della donna giaceva a terra nella sua camera da letto, a Frassilongo, a pochi chilometri dalla sua azienda agricola. Perché è qui che Agitu, 42 anni, laureata in Sociologia, arrivata in Italia a 18 anni con una borsa di studio, si era stanziata. L'amore per la terra, per le radici, per i prodotti naturali, l'aveva portata ad allevare queste capre e a trasformare tutto il latte in formaggio. Vendeva il formaggio certificato biologico e di quello viveva, oltre che di yogurt, prodotti cosmetici, creme a base di latte caprino. Sveglia alle quattro, la sera a letto alle dieci, quando è arrivata in Trentino aveva 200 euro. Appena arrivata aveva trovato lavoro in un bar e per quattro anni aveva portato avanti entrambi. Con il primo lavoro finanziava le capre. La capra morena, una specie tipica della zona. «La sua forza e il suo rifugio» scriveva il 4 ottobre su Facebook.
La sua azienda agricola «La Capra Felice», come voleva esserlo lei. Era fuggita dall'Etiopia perché volevano arrestarla, lei che si batteva per i diritti dei contadini a cui le multinazionali tolgono i terreni.
L'Italia l'ha accolta da rifugiata dieci anni fa. Cinque giorni fa su Facebook, Agitu al pascolo con le sue capre in mezzo alla neve faceva gli auguri di Natale. «Che spettacolo», diceva. Uno spettacolo che non potrà mai più vedere.
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