Le immagini di Bucha provocano «orrore e turbamento: è Caino che uccide il proprio fratello». Parole di condanna arrivano dal cardinale Michael Czerny, prefetto ad interim del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, inviato da Papa Francesco per due missioni in terra ucraina. Invoca il dono della pace e spiega che «qualora ci fossero le condizioni un viaggio del Papa a Kiev avrebbe una grande risonanza». Su tutti i fronti.
Che sensazioni suscitano in lei le terribili immagini della strage di Bucha?
«Ho provato, come tutti, sensazioni di orrore, turbamento, e profonda afflizione per la bassezza cui può giungere l'essere umano. È Caino, che ritorna a uccidere il proprio fratello. Purtroppo, sono situazioni che abbiamo visto accadere spesso nei conflitti, pensiamo a quello nella ex Jugoslavia. Dobbiamo continuare a batterci in tutte le sedi possibili, soprattutto quelle internazionali, perché quanto accaduto non si verifichi più. Tutto questo dolore ci richiama a quanto sta dicendo il Papa da settimane: si ponga fine alla guerra! Solo da quel momento si potrà iniziare un'opera di ricostruzione materiale, economica, sociale, culturale, nonché del senso di comunità e dello spirito di convivenza».
Si può parlare di genocidio?
«È un tema che riguarda il diritto internazionale umanitario, e che in futuro riguarderà anche il giudizio della Storia. Più che ricorrere a definizioni specifiche, dobbiamo concentrarci su quanto possiamo fare nell'immediato, tutti insieme e ciascuno nel suo ambito. Da un lato continuare a condannare gli effetti abominevoli della guerra, così come l'orrore delle violenze e delle torture che vengono perpetrate ai danni della popolazione inerme; dall'altro impegnarci a operare per la protezione e l'accoglienza di chi fugge; infine, non stancarci di lavorare con la diplomazia perché tacciano le armi».
Lei è stato al confine ungherese e e al confine slovacco. E poi in Ucraina. Ha toccato con mano la tragedia dei profughi. Che messaggio vuole trasmettere?
«Alla frontiera ungherese e alla frontiera slovacca ho visto tante persone impegnate a fare la pace, avvicinandosi ai profughi, proprio mentre i soldati sono impegnati a fare la guerra. Coloro che accolgono sono un vero esercito di pace che si è mobilitato per le iniziative di accoglienza e solidarietà. Ho toccato la vitalità e l'amore di tanti uomini e donne che credono che oltre il male esista ancora e sempre la possibilità di realizzare un futuro migliore, per sé e per i propri figli. Pertanto, oggi spero che i richiami di Francesco scuotano le coscienze e portino tutti a considerare il bene supremo della pace come bene ultimo dell'essere umano, e la convivenza come valore universale da custodire e da promuovere».
Che segnale rappresenterebbe una visita del Papa a Kiev?
«Il Papa ha detto che la visita a Kiev è sul tavolo. Devono crearsi le condizioni giuste, le condizioni per i passi concreti verso la pace.
L'iniziativa avrebbe una grande risonanza, non solo per la situazione politica e militare, ma anche per il dialogo ecumenico. Il viaggio avrebbe in generale un grande significato, non solo simbolico, perché il Santo Padre è una delle figure più seguite e ascoltate a livello internazionale, anche da chi non è cristiano o cattolico».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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