Il D-day della nuova Commissione è in programma mercoledì prossimo a Strasburgo, quando la plenaria del Parlamento Ue voterà - a maggioranza semplice e scrutinio palese - il via libera al collegio dei commissari che siederanno a Palazzo Berlaymont insieme a Ursula von der Leyen. L'esito è scontato, ma - mentre i riflettori del mondo sono tutti puntati sul passaggio di consegne alla Casa Bianca e sulle conseguenze che potrà avere sui conflitti in Ucraina e Medio Oriente - Bruxelles continua a vivere nella sua «bolla», con l'incessante balletto della propaganda di chi ancora promette di alzare le barricate. Su tutti, i Greens e un pezzo dei Socialisti di S&D (francesi, tedeschi, belgi e olandesi in testa). Non a caso, von der Leyen li incontrerà tra lunedì e martedì, quando - sempre a Strasburgo - prima avrà un confronto con i capigruppo di Ppe (Manfred Weber), S&D (Iraxte Garcia Perez) e Renew (Valérie Hayer) e poi con i co-presidenti dei Greens (Terry Reintke e Bas Eickhout). Il clima si preannuncia teso, nonostante il via libera di tre giorni fa alle sei vice-presidenze esecutive abbia sciolto i veti incrociati sulla socialista Teresa Ribera e sul conservatore Raffaele Fitto. Insomma, siamo in verità alle ennesime schermaglie su una decisione di fatto già presa. Too big to fail, è la sintesi che ne fanno a Bruxelles.
Il punto è solo capire se mercoledì la plenaria di Strasburgo darà il via libera al bis di von der Leyen andando oltre la maggioranza assoluta (361), come accadde a luglio. O se si limiterà a incassare un ok a maggioranza semplice. Magari con i Greens che votano contro e un pezzo di socialisti che non si presentano in plenaria. I primi (i verdi sono 53) saranno in buona parte compensati dal «sì» della delegazione di Fdi (24) più altri otto-dieci voti in ordine sparso dentro Ecr. I secondi non incideranno, perché non partecipando al voto il quorum si abbasserà.
Von der Leyen, ovviamente, vorrebbe evitare di perdere consensi per strada. E per questo nel suo intervento in plenaria prima del voto potrebbe tendere una mano alla cosiddetta «maggioranza Ursula». Una scelta, peraltro, di cui in Fdi non potrebbero essere più contenti, visto che sono a un passo dal portare a casa la vicepresidenza esecutiva di Fitto e contemporaneamente rivendicare la loro autonomia. Non è un caso che Carlo Fidanza, capo-delegazione Fdi-Ecr, sottolinei con enfasi che «non c'è un allargamento della maggioranza a Ecr» che «ne rimane orgogliosamente fuori». Parole che hanno l'obiettivo anche di facilitare von der Leyen nel provare a ricompattare l'asse Ppe-S&D-Renew-Greens.
Un ritornello che vedremo spesso in questa legislatura, perché i nuovi numeri del Parlamento Ue e gli attuali equilibri del Consiglio (dove siedono solo quattro leader socialisti, con Olaf Scholz e Pedro Sánchez alle prese con enormi problemi interni) dicono che la «maggioranza Ursula» non c'è già più e che socialisti, liberali e verdi dovranno iniziare a fare l'abitudine a un Ppe che su molti dossier - dall'immigrazione al green - giocherà di sponda con Ecr e la galassia che c'è alla sua destra. I primi sul collegio dei commissari mercoledì voteranno in ordine sparso, con il «sì» di Fdi e il «no» di Pis (l'ex premier polacco Mateusz Morawiecki, peraltro, potrebbe partecipare alla festa di Atreju a Roma e gettare le basi dell'atteso passaggio di consegne con Giorgia Meloni alla presidenza di Ecr). I Patrioti, invece, voteranno in blocco contro. Non solo il Fidesz di Viktor Orbán e il Rassemblement National di Marine Le Pen, ma anche la Lega. «Fitto è in gamba e ha il nostro sostegno, ma - spiega Matteo Salvini - non daremo carta bianca a von der Leyen».
Parole che accendono gli eurodeputati del Pd, anche se trattandosi di un voto palese era piuttosto scontato che pur dicendo «sì» a Fitto la Lega si sarebbe poi espressa contro il via libera all'intero collegio di commissari.
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