Ue, vertice a 11 sui migranti: Ursula spinge il piano italiano. L'ok del Ppe

La riunione promossa dalla nostra premier. L'Olanda pensa a un hub in Olanda, la Danimarca in Kosovo

Ue, vertice a 11 sui migranti: Ursula spinge il piano italiano. L'ok del Ppe

In un Consiglio europeo dove un po' si respira il clima dell'ultimo giorno di scuola in attesa che il primo dicembre si insedi la nuova Commissione Ue, quello che arriva da Ursula von der Leyen è l'ennesimo segnale politico che conferma come il voto di giugno abbia cambiato gli equilibri europei. Dopo che in questi ultimi anni il Consiglio Ue si è lentamente spostato verso destra, anche il Parlamento ha infatti registrato una virata senza precedenti. Di cui il Ppe ha preso atto, mettendo in campo una politica dei «due forni» che guarda a sinistra o a destra a seconda delle esigenze. Così, dopo che i Popolari hanno giocato di sponda con Ecr e Patriots sia sulla risoluzione per il Venezuela che sul delicato voto sul calendario delle audizioni dei candidati commissari, ieri il Ppe si è di nuovo mosso d'intesa con destra e sovranisti. Su un tema chiave come l'immigrazione e riuscendo a far sedere al tavolo pure un pezzo dei Socialisti, scatenando l'ira del resto della pattuglia di S&D.

Prima del Consiglio e su iniziativa di Giorgia Meloni, negli uffici della delegazione italiana si è infatti tenuto un vertice a cui hanno preso parte undici Paesi Ue. Una riunione sollecitata oltre che dall'Italia anche da Danimarca e Olanda, con l'obiettivo di creare un fronte comune tra quegli Stati che sono favorevoli alla cosiddetta esternalizzazione della gestione dei flussi migratori. Sul modello, dunque, del protocollo tra Italia e Albania. D'altra parte, il primo ministro olandese Dick Schoof sta «valutando concretamente» l'ipotesi di creare un hub in Uganda dove ospitare i migranti che non hanno diritto di asilo e che arrivano dall'area africana. Mentre la premier danese Mette Frederiksen starebbe pensando al Kosovo, con cui un mese fa Copenaghen ha già siglato un accordo decennale per ospitare trecento detenuti delle carceri danesi.

Al tavolo promosso da Meloni - e presieduto da von der Leyen - partecipano anche i capi di Stato e di governo di Austria, Cipro, Grecia, Malta, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria. Un discreto gruppo di mischia - che si è intenzionato a ripetere il format al prossimo Consiglio Ue - la cui geografia politica non è un dettaglio: 4 leader sono del Ppe, 4 di destra (di cui 2 Ecr, 1 Patriots più l'olandese che rappresenta un governo di coalizione con popolari, liberali, conservatori e patrioti), 2 socialisti (la premier danese e il primo ministro maltese Robert Abela), 1 ex socialista ora nel gruppo dei non iscritti. Spiccano, ovviamente, le assenze di Germania, Francia e Spagna. Ma la presenza di Italia e Polonia (rispettivamente terza e quinta nella classifica dei Paesi Ue per abitanti) non è un dettaglio. Come pure la sintonia dell'Olanda che, con il nuovo governo trainato da Geert Wilders, inizia a muoversi uscendo fuori dal tradizionale schema di tandem con la Germania. Eppoi c'è il dato politico più importante, cioè la scelta di von der Leyen di presiedere la riunione, dandole un peso politico che altrimenti non avrebbe avuto.

L'ennesimo segnale che la presidente della Commissione Ue è intenzionata a seguire un approccio più deciso sulle politiche migratorie. Non a caso, lunedì scorso è stata la stessa von der Leyen a ipotizzare una proposta legislativa per istituire i return hubs, cioè i centri di rimpatrio in Paesi terzi sulla scorta del protocollo tra Italia e Albania. Un modello che alcuni leader europei - tra cui il premier greco Kyriakos Mitsotakis - considerano «esplorabile» e su cui si sono confrontati ieri gli undici capi di Stato e di governo presenti alla riunione. Un incontro, spiega Meloni, «molto positivo e con chiari obiettivi comuni». Anche se, aggiunge la premier, è «curioso notare» che «mentre quasi tutta l'Europa discute delle nostre iniziative contro l'immigrazione irregolare» c'è «la sinistra italiana che pensa solo ad attaccarle».

Una replica alle critiche di Elly Schlein, forse con un occhio anche alla scelta del cancelliere tedesco Olaf Scholz e del premier spagnolo Pedro Sanchez - entrambe socialisti - di non partecipare alla riunione di ieri. D'altra parte, la presenza della premier danese Frederiksen, presidente dei Democratici di Danimarca, pare abbia molto agitato la delegazione socialista, ormai sempre più insofferente verso una von der Leyen che si muove secondo la logica delle maggioranze variabili. Al punto da continuare a minacciare fuoco e fiamme quando il 12 novembre Raffaele Fitto - uno dei sei vicepresidenti esecutivi indicati da von der Leyen - si presenterà alle audizioni del Parlamento Ue. In verità, visto che Fitto sarà sentito prima della socialista spagnola Teresa Ribera - per peso delle deleghe, di fatto la numero due di Ursula - appare improbabile che S&D possa davvero affondare l'esponente Ecr.

Che comunque - per sicurezza - sta avendo incontri e colloqui per allargare al massimo il sostegno nei suoi confronti, così da raggiungere la fatidica quota dei due terzi. Non a caso, proprio due giorni fa ha incontrato la capo-delegazione di S&D, la spagnola Iratxe García Pérez.

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